Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  marzo 02 Lunedì calendario

Biografia di Vivian Jack Woodward

Fine Ottocento, il pallone è una bolla d’aria imprigionata in tredici pezze rettangolari di cuoio cucite a mano e nessuno si azzarda a colpirlo di testa senza rischiare di ferirsi seriamente.
Gli inglesi maestri indiscussi. Ci sono i primi artisti che deliziano, Harold Hardmann, Nils Middelboe, Harry Stapley. È in questi anni che il giovane architetto Vivian Jack Woodward diventa il dominatore assoluto della rappresentativa inglese vincitrice della prima Olimpiade che ospita il calcio, oro a Londra nel 1908 e poi anche a Stoccolma quattro anni dopo, primo calciatore britannico celebre in tutta Europa.
Infanzia non semplicissima. Vivian non ha neppure dieci anni quando Londra sta vivendo il momento più buio del suo ventennio fine secolo. La città è sotto scacco, nel giro di due mesi scarsi Jack the Ripper ha squartato Emma Elizabeh Smith, Mary Ann Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catharine Eddowes e Mary Jane Kelly, più altre quindici vittime non accertate a Whitechappel, nell’east end, neppure così lontano da Kennington il quartiere elegante dove il 3 giugno 1879 Vivian Jack Woodward mette piede sulla terra.
È l’autunno del 1888, in quelle case storte e maleodoranti di Whitechappel, fra strilli di ubriachi e richiami di prostitute, Londra perde i contatti, gli strilloni dell’Evening Post urlano Jack lo Squartatore, è lui l’autore di quegli atroci delitti, ma è solo un nome di fantasia, un assassino che non si trova e sta scaraventando la città davanti al suo specchio. Nei quartieri bene c’è il timore fondato che The Ripper allarghi il suo raggio, Whitechappel è la cartina tornasole di una città che trabocca di miserie e brutture ignorate dall’opinione pubblica sebbene denunciate da grandi scrittori come George Bernard Shaw. Ma sempre in questi giorni a Londra sta nascendo il calcio. Vivien Jack Woodward cresce fra londinesi che si guardano con sospetto, Jack lo squartatore è uno di loro, forse proprio un irreprensibile agente di borsa alla London Stock Exchange, nessuno è immune dalle indagini di Scotland Yard che brancola nel buio, si ipotizza addirittura il coinvolgimento di un membro della famiglia reale.
Non è un bel vivere ma Vivian Jack Woodward ha la fortuna di crescere fra le mani pulite del padre, anche lui architetto, che desidera un figlio studioso e laureato, nella peggiore delle ipotesi giocatore di cricket o eventualmente tennista, non certamente frequentatore o addirittura praticante di uno sport primitivo e violento come il calcio. Il destino però non conosce sconfitte, già da sette anni proprio al Kennington Oval, a pochi passi da casa, si gioca la finale della FA Cup e Vivian non sa resistere alla tentazione di quelle sfide. Una passione totale e sviscerata che costringe il padre, per amore verso il figlio, ad assumere la carica di presidente del Clacton Town, la prima squadra dove uno fra i più grandi attaccanti inglesi di tutti i tempi inizia a giocare. Il patto fra loro è onorato totalmente, Vivian gioca a calcio e si laurea con una ulteriore promessa, mai e poi mai accetterà di diventare un calciatore professionista, sebbene in quegli anni il calcio in Inghilterra stia andando proprio verso questa direzione, sfociando nel 1885 nella sua ufficializzazione. Ma resta un calcio improbabile che fatica a espandersi fuori dai grandi porti dove attraccano le navi mercantili inglesi. L’imprenditore Karolj Lowenroses in occasione della Grande Esposizione di Budapest del 1896, fra le tante merci che ha portato dall’Inghilterra espone un pallone e poi convince un gruppo di ragazzi a disputare un incontro di calcio. Ma la partita, a causa della quasi totale ignoranza dei regolamenti, sfocia in una rissa spaventosa e Lowenroses è costretto alla fuga da Budapest inseguito dalle mogli e dalle fidanzate dei giocatori infortunati che vogliono cresimarlo. Episodi che non riguardano Vivian, nonostante un’altezza imponente per l’epoca, sfiora il metro e novanta, ha una grazia di movimenti e una leggerezza nel tocco da fuori programma. In quel gioco rude praticato per lo più da arcigni giocatori che agguantata la palla la scaraventano il più lontano possibile dalla propria porta lui è una luce. La sua eleganza lo distingue, i suoi gol fanno la differenza, classe, coraggio e un tiro fulminante. Nel giorno del suo esordio con la maglia della nazionale il 14 febbraio 1903 segna due reti all’Irlanda, disarciona dai loro pregiudizi anche i più scettici che per la sua altezza esagerata non lo ritengono adatto al ruolo di centravanti e diventa per tutti il calciatore con la magia nei piedi. Intelligenza non solo calcistica sopra la media, non è il centravanti egoista che vive per il gol, si ispira al grande Gilbert Oswald Smith centre-forward del Corinthian e dell’Inghilterra. Come lui agisce con calma e freddezza, doti inimmaginabili per i calciatori dell’epoca, preferisce aprire varchi per i compagni d’attacco, ne intuisce i movimenti e li invita al gol quando capisce che hanno maggiori possibilità di segnare. Concentra tutte le qualità possibili alle quali somma la sua inarrivabile sportività, mai polemico con i compagni, con gli avversari, rispetto totale per i direttori di gara. I suoi agiografi ricordano quel giorno che dopo innumerevoli interventi da codice penale si rivolge così al suo aguzzino: «Please, don’t do that again, you have hurt me!», ti prego non continuare, mi stai ferendo dentro. Il giornalista Jimmi Catton, testimone, commenta sulle pagine del suo giornale che Vivian quel giorno non ha più subito altri interventi fallosi per il resto del match.
Disprezza le azioni meschine, incapace di compierne di sleali, con la nazionale, il Tottenham Hotspurs e il Chelsea, i due club in cui gioca dal 1900 al 1915, gira l’Europa, capita anche in Italia dove affronta la nostra rappresentativa a Genova, non segna ma viene celebrato come il più grande mai visto e la nostra stampa si inchina. Con il Tottenham 63 gol, 30 con il Chelsea, in Nazionale 29 reti in 23 incontri, con l’Inghilterra Amateurs, quella non professionista, 57 reti in 44 gare. È contemporaneamente capitano e massimo cannoniere della nazionale maggiore che attinge quasi esclusivamente da professionisti della First Division e Southern League, e capitano della selezione Amatours, perché al padre ha fatto una promessa e resta dilettante in un campionato aperto che non fa distinzioni. Per lui niente compensi, i giornalisti Alfred Gibson e William Pickford che nel 1906 scrivono Association Football And The Men Who Made It, precisano che non ha mai preso un solo penny, neppure per il rimborso dei bus che lo portano al campo. Con lo scoppio della Grande Guerra si arruola nel battaglione di volontari delle Pals Army, combatte sul fronte occidentale quando una granata lo ferisce a una gamba, viene prima operato e poi congedato. Quando torna non è più in grado di esibirsi ad alti livelli ma continua a giocare nelle squadre militari, conquista altri trofei e smette definitivamente a quarant’anni compiuti quando la storia lo consacra primo e unico Football’s Gentleman.
A Londra dopo oltre trent’anni Scotland Yard ha perso ogni speranza di catturare Jack The Ripper, non ha più squartato nessuna prostituta ma molto probabilmente è ancora lì, in una città in cui hanno vissuto contemporaneamente due Jack, uno la figura più spaventosa e longeva di tutti i tempi, archetipo del serial killer odierno, l’altro Jack, quello buono, archetipo mancato del calciatore moderno.