la Repubblica, 2 marzo 2020
Valentino tendenza nero per tutti
PARIGI — E alla fine, Valentino torna al nero. Nulla di meglio, secondo Pierpaolo Piccioli, per vestire le generazioni agli opposti: i più giovani, abituati a vestirsi senza nemmeno più guardare se i capi sono da uomo o da donna, e i più maturi, cresciuti avendo ben chiare certe distinzioni. Il nero è il punto di partenza per soddisfare tutti, ma quello che ha mandato in passerella ieri, però, non è un “semplice” nero. È un nero che ha corpo, usato su pezzi scolpiti, senza sbavature: non fosse che i generi sono superati, li si descriverebbe pure maschili. Così facendo lo stilista va dritto a ciò che lo interessa: vestire la realtà che lo circonda. E poche storie, nessuna altra tinta è usata tanto spesso quanto il nero. Da lì elimina il chiasso di decori e sovrastrutture inutili, e spinge sui tagli, le forme, gli effetti del tessuto. E, giusto per ribadire l’importanza di creare senza barriere, mescola uomini e donne in passerella. L’esperimento funziona, anche quando dal nero passa ai grigi del tweed e al rosso, o quando dalla pelle si sposta allo chiffon. Piace, questo Valentino più secco ed energico, e la scelta di far sfilare anche chi in teoria non sarebbe da passerella di moda “alta” funziona.
Il nero con cui Demna Gvasalia ha avviato lo show di Balenciaga, maestoso e un po’ monacale, richiama le creazioni del leggendario fondatore della maison. Notevoli dunque, ma è l’allestimento che ha reso lo show del marchio davvero memorabile: un auditorium buio semi-sommerso, i modelli che paiono camminare sull’acqua, sul soffitto uragani, fuoco e scariche elettriche, colonna sonora techno da foratura dei timpani. Mozzafiato. «Non è un paesaggio apocalittico, ma post-apocalittico», precisa lui dopo lo show, aggiungendo che l’acqua nera rappresenta il petrolio che ci avvelena. «In realtà io celebro la moda: ho passato Natale a cucire, i vestiti sono la cosa a cui tengo di più, l’unica che conta». Il designer va avanti nella creazione di un guardaroba per uomini e donne reali (in una nota sono indicati nomi e professioni di tutte e 105 le persone che hanno sfilato). Certo, il suo quotidiano non è per tutti: si devono amare le sue costruzioni esasperate e la durezza di fondo della sua estetica, ma sul valore non si discute. «La moda dovrebbe essere un culto, per questo ho inserito nei look da uomo pure delle divise da calcio. Da dove arrivo io (è georgiano, ndr ) tutti venerano quello sport. Dovremmo farlo anche con gli abiti». Facile dargli retta, con prove del genere.
A proposito di culti, Thom Browne punta sul Vecchio Testamento, e porta in scena un’Arca di Noè in cui s’imbarcano coppie di uomini e donne vestiti nello stesso modo, che si tratti di tailleur longuette o di tre pezzi in grisaglia. Le specie animali le si ritrova invece nella forma delle borse: lo struzzo, il pitone e così via. Non danno l’idea di essere timorate di Dio le fanciulle festaiole di Alessandra Rich. Il loro è uno stile provocante, pure kitsch, ma se si va oltre si nota quanto in realtà siano versatili i suoi look: i completi bouclé ben tagliati, gli chemisier col colletto bianco, le mise da sera classiche. La stilista sa come lasciare il segno, ma anche come fare abiti.
Da Issey Miyake la seconda prova di Satoshi Kondo evidenzia quanto sia difficile portare avanti un’eredità così impegnativa. Kondo pare sin troppo rispettoso, ma così non c’è progresso. Questione analoga da Hermès: in una stagione in cui l’estetica del marchio più popolare – le stampe foulard, l’equitazione, l’opulenza degli anni 80 – è citata ovunque, che proprio loro continuino a ignorarla è un peccato, soprattutto perché il mix con il minimal della designer Nadège Vanhee-Cybulski sarebbe interessante. Se ne ha un assaggio con i look di pelle nera e quelli equestri color cammello, ma è ancora poco. Nota di colore, letteralmente: la prima parte dello show in bianco, rosso, giallo e blu riprende i pali colorati della scenografia. È un rimando alle confezioni dei nuovi rossetti della maison, tra poco in vendita. Bella mossa.