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 2020  marzo 02 Lunedì calendario

Catalogo dei nuovi registi italiani

Le definizione più calzante la danno loro, i fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, premiati per la migliore sceneggiatura alla 70° Berlinale. Per far capire quello che non vogliono essere usano un’immagine, «registi con la sciarpa». Se la Nouvelle Vague francese nacque per prendere le distanze dal «cinema di papà», l’ultima leva del cinema italiano, selezionata e premiata ai festival internazionali, potrebbe chiamarsi quella dei «senza sciarpa». Che poi vuol dire giovani autori germogliati da realtà diverse, cresciuti nelle scuole, facendo corti e documentari, ma anche autodidatti, come i D’Innocenzo, che hanno scelto Matteo Garrone come maestro e nume tutelare, seguendolo notte e giorno, con la sola voglia di imparare e capire. 
Come Andrea De Sica, figlio dello scomparso Manuel e della produttrice Tilde Corsi che, dopo l’esordio fulminante con I figli della notte, ha fatto il grande salto nel mondo delle serie tv, dirigendo Baby per Netflix e superando, senza problemi, steccati un tempo rigidissimi. Come Marco Proserpio, ex-regista di videoclip e pubblicità che, due anni fa, con il documentario L’uomo che rubò Bansky, voce narrante Iggy Pop, ha partecipato con successo ai maggiori festival del mondo. Come Laura Luchetta che, con Fiore gemello , ha incantato il Toronto Film Festival. Come Michela Occhipinti che, esattamente un anno fa, spiccava il volo, proprio dalla Berlinale, con Il corpo della sposa - Flesh out, girato in Mauritania e dedicato alla pratica del «gavage», ingrassamento forzato di ragazze alle soglie delle nozze. Come Phaim Bhuyan che, alla prima prova, Bangla, si è guadagnato il paragone con Nanni Moretti di Io sono un autarchico e adesso è in corsa per i David di Donatello. Come Carlo Sironi (anche lui nella cinquina dei David) che, per il suo Sole, è stato avvicinato ai fratelli Dardenne.
Figure ispiratrici
Le figure ispiratrici di questa nuova ondata sono Gabriele Mainetti, l’autore di Lo chiamavano Jeeg Robot, Jonas Carpignano, italo-americano cresciuto a New York e poi tornato a vivere a Gioia Tauro, dove ha ambientato A ciambra, ricevendo i complimenti di Martin Scorsese, Alice Rohrwacher, di cui si possono già citare allievi come Danilo Caputo, regista di Semina il vent o (in cartellone nella sezione Panorama della Berlinale ), e che, secondo il trionfatore sudcoreano degli Oscar Boon Joon Ho, fa parte dei 20 talenti emergenti «che cambieranno il nostro immaginario nei prossimi 20 anni». E poi, naturalmente, restano accesi i fari di Paolo Sorrentino e Matteo Garrone: «Quando abbiamo visto per la prima volta i film di Matteo -dicono i gemelli D’Innocenzo - ci è venuta voglia di abbracciarlo. L’amore è sempre screanzato. Gli abbiamo chiesto di confrontarci con lui, lo abbiamo seguito mentre scriveva». 
Dopo decenni in cui si imputava al cinema italiano l’incapacità di riprodurre il modello dei tempi d’oro, basato su condivisione, amicizia, convivenza, finalmente, tra gli ultimi arrivati si avverte un senso di comunanza. Ci si ringrazia vicendevolmente, ci si cita senza invidie e reticenze, si lanciano tweet incrociati, a base di tifo e complimenti, ci si sente parte di un tutto anche quando, per scelte personali, si vive lontane dai riflettori. Non è un caso che il doppio premio, a Elio Germano e ai due giovani autori, sia arrivato da una giuria di cui faceva parte Luca Marinelli, classe 1984, anche lui portabandiera dell’ultima generazione «made in Italy», pronta a emigrare, ma anche legata alle radici: «Sentiamo già - confessano i D’Innocenzo -, la nostalgia della curiosità e dell’imprecisione dei bambini. Anche di arrossire, una cosa che da adulti non succede più, ma a noi succede ancora».
Adesso le attese sono per i secondi film, appuntamenti sempre pericolosi, e per gli ulteriori esordi. Della prima schiera fa parte De Sica che torna dietro la macchina da presa per dirigere Non mi uccidere, tratto dal romanzo horror di Chiara Palazzolo, della seconda Pietro Castellitto, figlio d’arte, laureato in Filosofia, pronto per il debutto da regista con I predatori, ma anche per interpretare Francesco Totti nella serie Sky Un capitano: «Fabio e Damiano - dice a proposito dei D’Innocenzo - sono veramente due amici. Ci conosciamo da 3 anni. Abbiamo scritto anche cose insieme, quando nessuno ci filava ci siamo fatti coraggio a vicenda. Li stimo, sono due talenti speciali».