Il Sole 24 Ore, 1 marzo 2020
Cordelli scrittore che legge
Che cos’è stata, che cos’è una narrazione? Dopo L’albero del romanzo di Massimo Rizzante, un eccellente panorama in stile saggistico della migliore narrativa internazionale del secondo Novecento; dopo l’antologia critica di Palumbo Mosca La realtà rappresentata, sono arrivati ora a completare e complicare il quadro i due volumi di Franco Cordelli Un mondo antico e Il mondo scintillante (a cura di Domenico Pinto e Enzo Sallustro, edizioni Theoria, pagg. 502 e 504, euro 20 ciascuno). Nel primo di questi volumi si trovano articoli che da Boccaccio, Dante, Cervantes arrivano ai classici dell’Ottocento e del Novecento; nel secondo, Cordelli entra nella Babele della più recente e attuale contemporaneità. Complessivamente si parla di circa centoventi autori: un labirinto nel quale, fra epoche storiche, culture nazionali e continentali (Asia e Africa, Europa e Americhe) il lettore può contemplare incuriosito e attonito l’ingovernabile pluralità dell’universo narrativo, ma resta anche ammirato per la versatile, appassionata attenzione grazie alla quale Cordelli è riuscito a non arrendersi né di fronte alla quantità, né alla qualità, a volte mediocre, di autori e libri apparsi nel primo ventennio del Duemila.
Leggendo questi articoli mi sono spesso chiesto se l’autore è o non è un critico letterario. La domanda può sembrare insensata. Ma la sua prosa mi sorprendeva: non somigliava a quella di un comune critico e recensore. Cordelli in effetti è qualcosa di meno e qualcosa di più. La sua critica non è mai leggibile come un servizio pubblico. Dà piuttosto la sensazione di spiare uno scrittore nell’atto di aggiornare un diario di letture che non è destinato a un pubblico, ma fa parte del suo personale laboratorio di autore. Del critico letterario Cordelli non ha né l’attitudine didatticamente esplicativa, né l’esigenza del giudizio di valore, che in lui è quasi sempre implicito. Le sue passioni letterarie sono vissute come strettamente personali. L’esistenza di un generico pubblico di lettori in fondo lo disturba e lui tende a ignorarlo. Se si rivolge a qualcuno, è piuttosto a un manipolo di singoli intenditori per i quali la letteratura non è qualcosa di culturalmente utile, è l’essenza stessa della vita mentale.
Questo è possibile solo per una setta di iniziati capaci di capire che non c’è letteratura se non c’è stile, una qualità che si può percepire, ma è quasi impossibile definire. Nessun insieme di fenomeni linguistici e retorici riesce a verificarla e garantirla. È questa idea di stile ciò che distingue l’estetica di Cordelli dal formalismo e dall’avanguardia. Per i formalisti lo stile è una serie di procedimenti o artifici; per gli avanguardisti lo stile va violentato in vista di provocatorie trasgressioni. In Cordelli letteratura e stile sono qualcosa di più vasto, vario e imponderabile. Sono la sua sola morale, la sua sola politica, il suo solo strumento di conoscenza e la sola ragione per la quale valga la pena di avere un tipo di vita invece che un altro e di praticare quei necessari “esercizi spirituali” fra i quali la lettura di narrativa occupa un posto privilegiato.
Benché ne diffidi, le idee non solo interessano, ossessionano Cordelli. Ne teme il potere sistematorio, ma le apprezza come occasionali chiavi ermeneutiche. Come la sua narrativa è un’impresa critica, così il suo modo di fare critica funziona come un’indagine narrativa. In una recente intervista rilasciata ad Andrea Caterini (ora in Ritratti e paesaggi) Cordelli spiega che il suo rapporto con il romanzo è ambivalente: da un lato considera impraticabili le strutture del romanzo tradizionale, che oggi servono solo a produrre letteratura di massa; dall’altro «esistono solo vie personali» al romanzo. È la ragione per cui non si è mai stancato di scrivere recensioni e di esplorare le forme che il romanzo può assumere al di là della sua cosiddetta fine o crisi.
La morale letteraria di Cordelli è d’altra parte così intransigente perché si fonda su un principio per lui inviolabile: la priorità culturale della letteratura non va discussa perché la letteratura non può e non deve essere «guardata da fuori», attraverso categorie storiche o filosofiche, sociologiche, morali o politiche. Può essere trattata solo letterariamente, cioè secondo le sue modalità e i suoi valori.
Che si tratti di Beckett o di Brecht, Tolstoj o Stevenson, Babel o Gombrowicz, Hemingway o Nabokov, Savinio o Comisso, Volponi o Mailer, Philip Roth o Enrique Vila-Matas, ogni scrittore è tale e rappresenta la letteratura solo se dietro le sue evidenze è nascosto e custodito un “non-detto”. La verità dello stile è un aldilà della lingua e perfino dei fatti narrati. La musica del narrare deve disarticolare la logica fattuale (che cos’è un fatto?) saggiando in che modo i fatti “consistono” in se stessi, o invece si polverizzano in un’atmosfera di interrogativi, ipotesi, indizi.
Sono molti i romanzi e gli scrittori nei quali Cordelli si immedesima. L’immedesimazione è il metodo di chi rifiuta i metodi. Mi fermo comunque su due esempi che hanno permesso a Cordelli delle precise, benché indirette, dichiarazioni di poetica. A proposito di Claude Simon e del suo «discorso narrativo», Cordelli osserva che «è sempre ipotetico» e questa è la ragione «delle correzioni che non lo abbandonano, delle parentesi, che chiariscono un po’ di più, ma mai abbastanza»: cosa che genera «una sintassi tanto voluttuosa da essere fissata per sempre». L’osservazione potrebbe essere applicata anche a Cordelli. La sua prosa, quella critica non meno che quella narrativa, è sia instabile e suscettibile di aggiustamenti progressivi che stilisticamente definitiva.
Nell’articolo sul romanzo La volatilità dell’amore di Uwe Timm, vengono identificati come fisiologici gli echi che uniscono racconto autobiografico e memoria letteraria. Il tema del suo romanzo è classico e Timm echeggia sia Goethe che Theodor Storm. Questo echeggiare appartiene anche allo stile di Cordelli. La sua stessa idea di stile implica l’eco nel presente del passato letterario. Mentre parla del rapporto in Goethe, Storm e Timm fra desiderio e matrimonio, «forma immorale» del desiderio e «sacralità» del matrimonio, è chiaro che Cordelli parla anche di letteratura nel suo rapporto con la «volatilità» della vita. Lo stile non fa che consacrare formalmente l’immorale desiderio di ciò che vola via.