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 2020  marzo 01 Domenica calendario

Il crack delle Borse, un falò da 6mila miliardi

È come se il Giappone, terza economia al mondo, fosse d’un colpo spazzato via. Wall Street e le borse mondiali hanno bruciato seimila miliardi dall’inizio della loro furiosa ritirata, il 20 febbraio, al cospetto del coronavirus. Cinquemila solo nell’ultima settimana – l’equivalente, appunto, del Pil annuale di Tokyo. L’indice globale Msci ha sacrificato quasi l’11%, la seconda perdita di sempre.
L’alta tensione potrebbe continuare con il crescente impatto dell’epidemia su economia e business che solleva lo spettro di recessioni planetarie. La Cina ha rivelato ieri una contrazione senza pari dell’attività industriale con il Pmi, l’indice dei direttori acquisti delle imprese, crollato in febbraio a 35,7 da 50, tra analisti che temono un Pil a crescita impercettibile o negativa nel primo trimestre. 
I mercati sono reduci dalla peggior settimana dall’ottobre del 2008, dall’esplosione della grande crisi finanziaria. Anche le fortune dei 500 super-ricchi hanno visto andare in fumo 444 miliardi. A Wall Street ben il 95% dei titoli nell’S&P 500 è in correzione, sceso di oltre il 10% dai massimi. L’indice stesso è sceso in correzione in sole sei sedute dal record del 19 febbraio, un avvitamento inedito per velocità aggravato venerdì dal settimo calo consecutivo, la serie più lunga in quattro anni. La sua caduta ha rappresentato metà delle perdite mondiali. Non basta: in cinque sedute il Nasdaq è piombato del 10% e il Dow Jones del 12,4 per cento. Il 12% ha perso il paneuropeo Stoxx Europe 600. Londra ha ceduto l’11%, Francoforte il 12% e Piazza Affari ha sofferto perdite simili. 
Il Vix, indice di volatilità e paura della Borsa Usa, da lunedì è quasi raddoppiato a quota 45, i massimi dal 2015. Ben 18 miliardi sono fuoriusciti da fondi comuni e Etf azionari nella settimana a mercoledì scorso.
I traumi si sono irradiati oltre il mercato azionario. Nelle materie prime il petrolio Wti in cinque sedute ha perso il 13%, a sua volta la flessione più brusca dal 2008. I titoli decennali del Tesoro Usa, bene rifugio per eccellenza, hanno invece chiuso con rendimenti ai minimi dell’1,127% dall’1,47% di lunedì, una ritirata senza precedenti dal dicembre 2008. Investitori affamati di liquidità per coprire perdite hanno venduto un altro bene rifugio, l’oro: è scivolato sotto quota 1.600 dollari l’oncia da quasi 1.700 dollari, record da sette anni.
I sintomi di shock si moltiplicano in ordine sparso: negli Usa il turismo prevede di perdere quest’anno 5,8 miliardi; le prenotazioni aeree globali sono scese del 15%; le vendite di auto in Cina sono crollate del 92% in 16 giorni; nel 2020 le spedizioni di smartphone cadranno almeno del 2,3%; quelle di computer del 9 per cento. Decurtati i pronostici d’insieme: Bank of America si aspetta l’anno più debole per l’economia dalla crisi di dodici anni or sono e Logan Stanley teme una stagnazione. Keith Lerner, di SunTrust, nota corse a liquidare asset rischiosi “a ogni costo” affermando che il coronavirus peserà sull’economia anche se è «prematuro suggerire una recessione negli Usa». Moody’s Analytics ha alzato il rischio di recessione globale al 40 per cento.
Gli investitori hanno provato a cercare conforto: è scesa in campo la Federal Reserve, esprimendo fiducia nei «fondamentali dell’economia» e annunciando d’esser pronta a sostenere l’attività con tagli nei tassi d’interesse, oggi all’1,5%-1,75 per cento. Il potere della Fed sarà presto messo alla prova. I mercati scommettono al 100% su un intervento di un quarto o mezzo punto al vertice del 18 marzo. Goldman Sachs, che ha profetizzato una crescita nulla dei profitti della Corporate America, invoca tre tagli dei tassi entro l’estate. E le piazze finanziarie vogliono inoltre azioni coordinate di tutte le banche centrali, con la Bce che allenti ancora.
Esistono tuttavia perplessità sull’esito di manovre di politica monetaria. Quel che sembrava un trauma dell’offerta, di catene di forniture e produzione, afferma Michelle Meyer di Bank of America, «sta diventando shock della domanda. Un circolo vizioso tra fiducia dei consumatori e partecipanti sul mercato. La Fed potrebbe interrompere o rallentare la spirale». Ma Jon Hatzius di Goldman avverte: «È improbabile che moderate riduzioni del costo del denaro siano molto efficaci», piuttosto la Fed sarà «riluttante a deludere le attese di mercati per timore di peggiorare le condizioni finanziarie». Ancora più espliciti gli analisti Citigroup: prevedono tagli a marzo e aprile ma la risposta ottimale, a livello globale, sarebbe di politica fiscale. E proprio la politica delude: l’incertezza mostrata dalla leadership, americana e mondiale, di fronte all’epidemia di Covid-19 genera oggi non pochi timori.