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 2020  marzo 01 Domenica calendario

Boban, Maldini, Gazidis e il Milan che non è più

Cause di forza maggiore: su questo non si discute. Ma è indubbio che nel mondo pallonaro, su tante cose, a partire dallo slittamento al 13 maggio di Juve-Inter, stiano crescendo le più disparate dietrologie.
Riassumo le principali, senza schierarmi. Così si favorisce la Lazio. Così si favorisce la Juve, che ha il tempo per leccarsi le ferite, e Sarri il tempo per rinsaldare (se ci riesce) la sua panchina. Così si danneggia l’Inter, che avrà due partite da recuperare e che, a seconda dei risultati in Coppa Italia e Uefa, nemmeno è certa di poter rispettare la data del 13 maggio. Di questo si discute, di percentuali scudetto che scendono o salgono, ma è chiaro che un calendario con tanti spazi bianchi coinvolge tutti, anche la zona retrocessione. Poi: un conto è giocare contro X ai primi di marzo, un altro a fine aprile. Cambia la condizione atletica, la situazione degli infortunati, l’acqua alla gola o il margine di sicurezza che si può gestire. E tutti questi cambiamenti possono pesare molto sulla bilancia del risultato.
Non mi schiero perché la mia idea è questa: o si sospendono tutte le partite di campionato, come hanno fatto in Svizzera, o si giocano tutte a porte chiuse.
Rinunciando a incassi anche sostanziosi, mi rendo conto, ma se c’era un modo per mantenere tutte le squadre sullo stesso piano era questo. Una partita a porte chiuse non è il massimo della vita, anche qui non si discute. Manca il pubblico, il tifo, ma è pur sempre una partita, e giocare è meglio di non giocare. Oppure, meglio di continuare a giocare è interrompere la partita.
È una storia fresca fresca, di ieri, e arriva dalla Germania.
Hoffenheim-Bayern. Sullo 0-6 un gruppo di tifosi del Bayern (il gruppo ultrà Schickeria) espone uno striscione contro il presidente dell’Hoffenheim, il magnate Dietmar Hopp: "Sei e resti un figlio di puttana" . Questo Hopp non dev’essere un tipo molto popolare, visto che nello stesso giorno, per cori contro di lui, è stata temporaneamente sospesa la partita anche a Dortmund. Ma non è di lui che ci si occupa, ma del comportamento del Bayern. Che era avanti di quattro gol già alla mezzora del primo tempo, ma questo non conta. L’allenatore Flick, un ex, e molti giocatori del Bayern vanno a chiedere ai loro tifosi di rimuovere lo striscione, ma quelli manco fanno una piega. Allora i giocatori fanno capire all’arbitro che torneranno negli spogliatoi e l’arbitro sospende la partita per una manciata di minuti. Poi le squadre tornano in campo pro forma, non si affondano le azioni ma si palleggia a centrocampo.
Fischiata la fine, gli applausi dei tifosi dell’Hoffenheim sono tanti, e tutti per il Bayern. Unisco i miei, aggiungendo che per la sua condotta, sportivamente nobile, il Bayern rischia la sconfitta a tavolino. Ma intanto ha dimostrato che, volendo, è possibile schierarsi contro i propri tifosi, se valicano i confini di un tifo corretto, e andare fino in fondo. Stiamo parlando della squadra-faro del calcio tedesco, una delle più forti attualmente in Europa. Quante squadre italiane avrebbero agito come il Bayern?
Ognuno ha la sua risposta, io ho lo mia. Attualmente, nessuna. Non riescono a farlo per uno dei loro, figurarsi per un "nemico".
Quando il Covid19 sarà un brutto ricordo, speriamo presto, si tornerà a parlare di un altro virus che sembra difficilmente battibile: quello dell’odio.
O dio no, ma forte antipatia e incomunicabilità di carattere si nota in crescita al Milan, tra i giocatori-bandiera, Boban e Maldini, e l’ad Gazidis, la cui barba somiglia a quella di Vito Crimi, e non è un punto a suo favore. A un’intervista dell’ad alla Gazzetta , intervista in cui, secondo Gazidis, tutto va ben madama la marchesa, risponde ieri Boban, sempre sulla Gazzetta . E non ci va leggero.
«Trattare con Rangnick (eventuale nuovo allenatore, ndr) è stato irrispettoso e inelegante.
Non è da Milan. Almeno, quello che ci ricordavamo fosse il Milan». A me pare che in quest’ultima frase ci sia un piccolo mondo. Quello che il Milan era, quello che non è più. Il punto (di rottura, inevitabile) è questo. Poi si può discutere di mercato, di contratti da rinnovare, di fair play finanziario, di quello che volete, ma una certa musica è finita. E i ricordi, come scrisse Guillaume Apollinaire, sono corni da caccia il cui suono muore nel vento. Così, per avvicinarci all’angolo della poesia.
A ngolo della poesia. "Non si sa mai", di Yusef Komunyakaa, che riporta alla guerra in Vietnam. "Danzò per un momento/ con l’erba alta, come se fosse avvinghiato/a una donna. I nostri fucili/ divamparono di un rovente biancore. /Quando gli fui accanto/ un alone azzurro/ di mosche lo aveva già rivendicato. /Strappai la foto sgualcita/ dalle sue dita./ Non c’è altro modo/ di dirlo: mi innamorai./ Il mattino si schiarì nuovamente,/ all’infuori di un mortaio distante/ e di elicotteri che decollavano chissà dove./ Gli infilai il portafoglio in tasca/ e lo rivoltai per evitare/ che baciasse la terra".