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 2020  febbraio 29 Sabato calendario

Biografia di Andrea Pennacchi raccontata da lui stesso

Il pubblico del venerdì televisivo di La7 ormai lo conosce bene. Ha imparato ad apprezzarlo come il Poiana, lo spietato leghista sovranista di Propaganda Live. Sono pillole di teatro in tv. Perché questo è Andrea Pennacchi: un attore teatrale prestato al piccolo schermo (ma anche al cinema). Il primo bagno di notorietà per questo cinquantenne padovano è arrivato nell’autunno del 2018 grazie a un video pubblicato su Facebook e intitolato This is racism – Ciao terroni. Quattro minuti, tratti da un testo del torinese Marco Giacosa, contro il razzismo. Un clamoroso successo. Anche se non tutti ne hanno afferrato subito il senso.
Partiamo dell’exploit sui social: come nasce l’idea di quel video?
«È stato il giovane regista padovano Francesco Imperato a coinvolgermi. Dopo avere letto il testo di Giacosa, che è in italiano e molto più lungo e articolato, mi ha chiesto: "Perché non lo ambientiamo in Veneto e lo reciti tu?". La messa in scena, con la steadycam che avanza verso chi sta parlando nel giardino di casa, è tutta sua. Geniale nella sua semplicità. Di mio c’è il personaggio, che già esisteva: Franco Ford, detto il Poiana. Abbastanza cattivo da poter dire quelle cose».
Il video fa boom e la tv la chiama.
«La banda di Propaganda Live mi invitò a recitarlo in studio. Anche per fa vedere a tutti che il protagonista era un attore. Ci siamo subito piaciuti e poi mi hanno proposto di tornare in questa stagione. Dopo avere visto alcuni estratti di miei lavori teatrali e quello che scrivo su Twitter, mi hanno chiesto di preparare brevi monologhi del Poiana sull’attualità. Funzionano. Anche in Rete. E dire che io sono abituato alla lunghezza del monologo teatrale». 
Vedremo altri personaggi nel corso di Propaganda Live?
«Lo spero. Con Makkox e Diego Bianchi ne abbiamo parlato. Ma il Poiana è il più facile da adattare ai monologhi da tre minuti. Vorrei fare un pezzo su mio padre che torna dal campo di concentramento. Era già programmato, poi l’acqua alta a Venezia ci fece cambiare i piani».
Ha portato il dialetto veneto in tv, per di più all’interno di un programma in cui regna il romanesco. Che risposte ha avuto?
«Rispetto alla confusione che aveva creato sul web Ciao terroni, il pubblico di La7 ha capito che si tratta di un personaggio. Dialetto e cadenza sono la mia via per arrivare a una forma di verità. Quella del Poiana è una maschera universale: spaventa e fa ridere. Mi ha colpito il tweet di un ragazzo sardo che ha scritto: "Questo parla veneto ma è il mio vicino di casa". Il teatro mi ha fatto riconciliare con il Veneto. Volevo andarmene, poi ho accettare che tutto questo è ciò che sono anche io».
Quanti Poiana conosce?
«Che lo sono al 100% nessuno, per fortuna. Ma ne conosco tanti, qualcuno arriva ad esserlo anche all’80%. Li vedo nei bar, li ascolto… Sarebbero anche persone perbene, ma non resistono a dare sfogo al malessere che vivono».
Il Veneto è identificato come terra leghista. Chi non vi si riconosce come ci vive?
«Io sono cresciuto in un’enclave comunista, mio nonno era carrettiere, mio padre operaio ed ex partigiano. Prima c’era la Dc, ora la Lega. Ma è una Lega che non è rappresentata da Salvini: ama lo status quo e i privilegi, se sono i suoi. Mentre contesta quelli che, secondo lei, hanno altri. Si sta scoprendo razzista. Ma lo stesso che dice "stop immigrazione" ha dipendenti senegalesi; quello che dice "ci ammazzeranno tutti" ha la badante moldava. È un razzismo generico, che esclude sempre quelli che conoscono di persona. Regna il "tranne lui/lei, quegli altri"».
Il leghista ride del Poiana?
«Sì. Anche se non sempre. Pensavo che avrei litigato molto di più. E poi c’è sempre quello che non capisce: "Grande! Ti xe bravo a dire ste cose"».
Non tutti capirono "Ciao terroni". Preoccupante, no?
«C’era chi commentava dopo avere visto solo due minuti, senza arrivare al finale che svela il meccanismo. Mi aspettavo di litigare coi leghisti e invece sono finito a scontrarmi coi sovranisti, che mi accusavano di essere al soldo di Soros, e con tanti meridionali, convinti che a fare il video fosse stata una persona reale che voleva insultarli. Ero stupito».
Quando è nata la passione per il teatro?
«Quasi per caso, intorno ai 20 anni. Avrei dovuto e voluto fare il pilota aereo. Ho fatto anche l’allievo ufficiale di complemento ma la vita militare non era per me. Ero tornato a Padova, in attesa di essere convocato dall’Alitalia. Mi iscrissi all’Università per studiare lingue e a un corso di teatro. "Fai ridere" mi dicevano tutti. È stato amore immediato. E poi andavo a vedere Marco Paolini e dicevo: "Io voglio fare quella cosa lì, raccontare storie"».
Chi sono i suoi maestri?
«Gigi Dall’Aglio è il mio grande maestro. Ma senza gli spettacoli del Teatro Settimo, di Gabriele Vacis, Paolini stesso e Laura Curino non esisterei. Hanno avuto anche il merito di farmi scoprire un grande scrittore veneto come Luigi Meneghello. E poi Marco Baliani e gli attori di Peter Brook. Senza dimenticare Natalino Balasso con il quale ho lavorato in due suoi spettacoli». 
La tv ha portato più spettatori ai suoi spettacoli?
«Mi sta facendo conoscere fuori dal Veneto, anche se io la televisione l’avevo già fatta. Ho recitato in diverse fiction come Il paradiso delle signore, Don Matteo, Non uccidere… L’ultimo lavoro è quello di vice ispettore accanto a Paola Cortellesi nella serie tv di Sky Petra. Non vedo l’ora che vada in onda».