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 2020  febbraio 29 Sabato calendario

Erdogan spinge verso l’Europa un milione di siriani

Molti di loro sono “i profughi dei profughi”. Civili strappati alle loro abitazioni, per due, tre, cinque volte. Fuggiti dall’inferno di Homs, Hama, Aleppo, Da’ra, e da molte altre città della Siria. Per trovarsi, alla fine, nell’ultimo luogo rimasto, Idlib. E dover invece fuggire ancora. 
Un esodo di disperati preme verso la frontiera con la Turchia. Molti dormono in tende improvvisate, in case abbandonate, ridotte in macerie, qualcuno all’addiaccio. Alla macabra conta dei civili uccisi dalle bombe e dalle malattie, da alcune settimane si sono aggiunti anche quelli per assideramento. 
L’emergenza umanitaria scoppiata nella regione nord-occidentale della Siria, ultima roccaforte dei ribelli sunniti siriani e di feroci gruppi jihadisti, rischia di trasformarsi nella peggiore crisi umanitaria degli ultimi 20 anni. Dal primo dicembre gli intensi bombardamenti hanno provocato quasi un milione di sfollati a Idlib, in gran parte riversatisi nelle campagne vicino alla frontiera. Per l’Europa si riapre una nuova emergenza profughi, un esodo di disperati che rischia di premere sulle sue frontiere in un periodo già estremamente difficile. La Turchia ha infatti annunciato di voler riaprire la rotta balcanica. 
Appoggiato dalla potente aviazione russa, il regime di Damasco è determinato a riconquistare l’ultima regione in mano ai ribelli, ricorrendo a bombardamenti martellanti sulle aree abitate da civili. Ankara è decisa a difenderla. Gli scontri tra i due eserciti sono stati particolarmente violenti negli ultimi due giorni. «Le famiglie presenti nel campo profughi di A’zaz, vicino alla frontiera turca, sono state sfollate in media cinque volte in pochi anni. Ma diverse altre sono state costrette a fuggire anche dieci volte», spiega al Sole 24 ore Manuel Lopez Iglesias, capo missione per la Siria di Medici Senza Frontiere (Msf). «L’inverno è molto freddo, nevica; 200mila famiglie da gennaio si trovano esposte alle intemperie. Con molti bambini. Immaginatevi i problemi sanitari. Molti non hanno accesso ai medicinali». 
Cosa sta accadendo nella regione nord-occidentale di Idlib? Negli accordi di Sochi, negoziati dal presidente russo Vladimir Putin e da quello turco Recep Tayyip Erdogan nel settembre 2018 per porre fine alle violenze, era stata definita “de-escalation” zone. Ma per quasi tre milioni di civili pare essere divenuta una “nightmare zone”. Una trappola da cui è difficile fuggire. Le bombe dell’aviazione siriana colpiscono indiscriminatamente cliniche, edifici civili, anche scuole. In un solo giorno ne sono state colpite dieci. I 25 bambini uccisi lo scorso martedì dai raid aerei mentre si trovavano ancora tra i banchi della loro classe sono divenuti il simbolo di una nuova guerra nella guerra. Ancora più brutale. In cui i civili sono colpiti intenzionalmente. Alcune delle scuole distrutte in queste settimane – ha spiegato Save the Children – erano in funzione, altre erano in pausa e altre ancora venivano utilizzate come rifugi. 
«Negli ultimi tre mesi 84 strutture sanitarie sono state distrutte. Sono la metà di quelle presenti in quest’area – continua Manuel Lopez Iglesias -. Così tante strutture cliniche, ma anche scuole e abitazioni civili, in un periodo ristretto di tempo non possono esser state colpite a caso». Difficile che si fermino le ostilità. Perché il presidente Erdogan non vuole perdere Idlib. Da anni aveva in testa un grande piano, che gli avrebbe consentito di prendere non due, ma tre piccioni con una fava. Grazie a tre operazioni militari effettuate negli ultimi tre anni nella Siria settentrionale, aveva creato una fascia di sicurezza dove erano presenti le forze turche ed i civili siriani sunniti. Oltre a diversi gruppi di pericolosi jihadisti. In un sol colpo si sbarazzava così delle milizie curdo-siriane, le Ypg,considerate da Ankara pericolosi terroristi. In secondo luogo, con un’operazione di ingegneria etnica, inviava in queste aree parte dei 3,5 milioni di rifugiati siriani che da anni vivono in territorio turco, e rappresentano un pesante fardello sui conti pubblici. Infine, distoglieva l’opinione pubblica dai problemi interni, che non sono pochi, sia politici che economici. Quando tutto sembrava pronto per incrementare il rimpatrio dei rifugiati nella fascia di sicurezza e nelle altre aree di Idlib, regione considerata dalla Turchia come un suo protettorato, ecco che il regime di Damasco mette i bastoni tra le ruote del carro e sferra l’offensiva. Così Erdogan non solo non è in grado di rimpatriare parte dei rifugiati. Ma rischia di vedere un altro milione premere sul confine. 
Ecco a questo punto la minaccia, già usata altre volte: riaprire la rotta balcanica. Cosa che il Governo ha fatto ieri. Non ufficialmente. Radio e televisioni erano già state avvertite per tempo in modo da filmare centinaia di migranti, carichi di borse, in cammino lungo la strada al confine con la Grecia. Le autorità turche avrebbero infatti allentato la vigilanza nei pressi del confine terrestre con la Grecia e la Bulgaria, segnato dal fiume Evros. Atene e Sofia hanno chiuso i confini. 
Sul versante siriano la situazione è molto difficile. I campi profughi sono sovra-affollati. Mancano farmaci, tende, anche coperte. «Per non far spostare ancora gli sfollati e raggiungere rapidamente i più bisognosi, stiamo ricorrendo a cliniche mobili. Ai molti feriti per i bombardamenti si sono aggiunte infezioni, problemi respiratori, malattie croniche», precisa il capo della missione per la Siria di Msf. La Russia non sembra gradire la mediazione dell’Onu e dei Paesi occidentali in un’area in cui è divenuta la sola potenza straniera con un certa influenza. Una tregua non pare dietro l’angolo. «Se dovesse continuare così – conclude Lopez Iglesias – sarebbe la peggior crisi umanitaria del 21esimo secolo. Non dimentichiamoci che, tra sfollati e rifugiati, oltre sei milioni di siriani vivono in campi profughi in condizioni disagiate, anche nei Paesi vicini. Ma nella regione di Idlib, e nelle campagna ad occidente di Aleppo, la situazione è molto grave».