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 2020  febbraio 29 Sabato calendario

Aldo Buzzi

Aldo Buzzi è un intellettuale che ha attraversato il Novecento cimentandosi in molti campi: e lo ha fatto con una grande propensione per l’originalità unita a un’altrettanto forte determinazione ad apparire il meno possibile. Si laurea in architettura ma abbandona subito la professione, perché non sopporta i capricci dei suoi possibili clienti. Si dedica al cinema, ma decide per tutti i venti anni (dal 1942 al 1961) che lo vedono frequentare la settima arte di essere un aiuto regista, non volendo mai uscire da quella dimensione e anzi teorizzandola in un prezioso manualetto. Si occupa di letteratura, ma i riconoscimenti gli arriveranno tutti a fine carriera e di certo non per sua iniziativa, nonostante il decennio come redattore capo da Rizzoli. È uno dei primi italiani a elaborare un volume in cui le ricette sono tante e il cibo è protagonista, ma siamo mille miglia lontani dai cuochi orgogliosamente padellanti in televisione e dal kitsch impagabile dello show cooking.
Se ci fosse una foto di gruppo, lui sarebbe lo sconosciuto a fianco di tante persone con le quali si è interfacciato in una vita quasi centenaria e che si chiamano Alberto Lattuada, Luigi Comencini, Bruno Munari, Saul Steinberg, Ennio Flaiano, Leonardo Sinisgalli, Giuseppe Pontiggia. Ma oggi un giovane studioso, Gabriele Gimmelli, ha raccolto tutte le sue opere e proposto una lettura critica del lavoro di Buzzi per La nave di Teseo, e questo ci consente di valutare l’insieme del lavoro di Buzzi.
Come abbiamo detto, l’architettura è solo una parentesi mentre il cinema è molto di più. È grazie al cinema che Buzzi conosce il promettente giovane appassionato di cinema Alberto Lattuada e, tramite lui, la sorella Bianca Lattuada che sarà sua compagna per tutta la vita. Lattuada amava il cinema perché voleva farlo, voleva diventare un regista capace (come lui stesso diceva) di raccontare ogni tipo di storia. Buzzi no, Buzzi è attratto da altro. Nel 1944 pubblica il manuale Taccuino dell’aiuto regista per l’editore Hoepli. Il mestiere Buzzi lo conosce perché ha già lavorato con Lattuada per il suo esordio Giacomo l’idealista nel 1942, ma quel manuale è veramente una sorpresa anche oggi. La pagina scritta è compressa da tantissime fotografie che forniscono esempi, propongono accostamenti, fanno prevalere il visivo mentre la nostra letteratura sul cinema ha sempre visto il trionfo della parola come propaggine narcisista dell’ego del critico. Buzzi fa il contrario, elenca tutto quello che bisogna fare perché il regista possa lavorare al meglio, e cioè il controllo meticoloso di ogni oggetto in scena: se c’è un camino, bisogna provvedere che ci siano due molle di ferro per attizzare il fuoco in quanto una potrebbe diventare rovente; gli specchi non devono riflettere ciò che non si deve vedere; sul pavimento ci vogliono segni chiari che indichino agli attori fino a che punto possono avanzare essendo inquadrati. Forse proprio questa pignoleria fa sì che Lattuada si serva del suo lavoro per tutti i film che ha fatto fino al 1961, quando realizza il kolossal La tempesta, e che anche Comencini, Zampa e Gora si avvalgano della sua professionalità. «Mi piaceva fare l’aiuto regista (…) Era il lavoro che trovavo più congeniale: di solito uno non dice di voler fare il caporale, ma il generale di corpo d’armata; io no, io preferisco fare l’aiutante«dichiarerà poi a Goffredo Fofi e Franca Faldini.
Ma come dicevamo, il cinema non è tutto. Anzi, a un certo punto scompare. Ritroviamo Buzzi scrivere articoli, proporre libri, svolgere – come si è detto – il ruolo di redattore capo da Rizzoli. Verso metà degli anni Sessanta proprio grazie a questa scelta lavorativa ritrova una tranquillità economica e intensifica i suoi rapporti soprattutto con Ennio Flaiano e con Lucio Mastronardi del quale diventa confidente e amico, senza però trascurare una relazione altrettanto importante con Luciano Bianciardi e con Giuseppe Mazzaglia. Quando la Rizzoli conosce la propria crisi, Buzzi trova ospitalità presso un altro editore milanese, Il formichiere. Ma soprattutto insiste con la sua produzione letteraria che lo aveva già visto attivo con Piccolo diario americano e Cechov a Sondrio e altri viaggi, due simpatici volumetti – entrambi ripubblicati nel volume in questione – che hanno evidente origine in un’altra grande passione di Buzzi, i viaggi che appena poteva affrontava molto volentieri, da solo oppure con Bianca Lattuada. E nel 1979 esce L’uovo alla kok, con l’evidente storpiatura del termine francese e con i bellissimi disegni di Saul Steinberg. Un vero e proprio divertissement sul tema della cucina, che piacque molto alla critica e ancora di più ai lettori. Vincenzo Buonassisi, su Tuttolibri del 27 ottobre 1979, lo definisce «scintillante, leggero, colto, sapiente (…) Per Buzzi non ha segreti la storia della cucina e nemmeno quella dei personaggi che la punteggiano».
Il successo di L’uovo alla Kok gli procura nuove richieste di articoli e di libri, spesso su suggerimento dell’amico Giuseppe Pontiggia. E non poteva essere diversamente. Sentite come racconta la paillard, ad esempio: «Una paillard, come ognun sa, è una fetta sottile di carne di vitello (o di manzo, come era in origine, lo ha ricordato di recente il Carnacina) ai ferri, con pepe, sale e limone. Il signor Paillard, il cui nome appare sempre più spesso italianizzato in Paiard o Paiar (in compagnia, sui menu più frettolosi, di uova alla kok, wustel, ascè di manzo alla Metro d’Otel eccetera eccetera), già proprietario di un famoso ristorante a Parigi, sul Boulevard des Italiens, e prima chef del Ritz, non ha fatto un grande sforzo per raggiungere l’immortalità. Ma solo in Italia. In Francia, gastronomicamente, paillard non vuol dire nulla, come se qualcuno chiedesse del vitel tonné». Siamo lontani mille miglia dalla protervia arrogante del difficilese dei master chef contemporanei, e solo per questo il buon Buzzi meriterebbe un’attenta e divertita rilettura.