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 2020  febbraio 29 Sabato calendario

I misteri degli anni Sessanta

Fra il 1961 e il 1964 in Italia si consumano due morti ancora misteriose (Enrico Mattei e Mario Tchou, collaboratore di Olivetti); e due arresti clamorosi (Felice Ippolito del Comitato nazionale per l’energia nucleare e Domenico Marotta, direttore dell’Istituto superiore di sanità). Il giornalista Pietro Greco, fra i personaggi del Fantasma dei fatti, commenta: «Quattro storie, guarda caso concentrate in un brevissimo arco di tempo, e, guarda caso, tutte e quattro finiscono male: per i loro protagonisti e per l’Italia… Niente più predominio nell’elettronica, nel nucleare e nelle biotecnologie, niente più ricerca dell’autonomia energetica e politica. Da quel momento, il nostro paese non è stato più lo stesso: è allora che si è concluso il boom ed è iniziato pian piano il suo declino».
«Guarda caso», già: e dietro tale ipotetica cospirazione spunta sempre un grigio agente della Cia, Thomas Karamessines, «Tom K». Forse è lui il responsabile?
Bruno Arpaia è scrittore troppo raffinato per cadere nel complottismo, che dissolve in modo esplicito verso la fine del testo e in modo implicito fin dalle prime pagine: dove comprendiamo che Il fantasma dei fatti è innanzitutto un rinnovato atto di fede nell’immaginazione – facoltà capace di colmare i buchi della Storia, che gli scrittori condividono con i fisici, come nota l’autore. Ma è anche un metaromanzo di grande potenza: la cronaca di un’ossessione per questa oscura figura di agente americano e per quegli anni seminali. In effetti, a determinare il valore del libro non sono tanto gli eventi ripercorsi quanto la storia che ne sta alle spalle: per undici anni Arpaia si documenta su Mattei, sul generale de Lorenzo, sulle mire degli inglesi, sulla Cia; ma più sprofonda nella mole di carte e nella complessità del contesto, più comprende che la storia gli sfugge fra le dita. Il fantasma dei fatti è anche la franca, e per questo quanto mai rara, testimonianza del fallimento di un progetto; dalle cui ceneri ne nasce tuttavia un altro, appunto questo testo: sciasciano fin dal titolo, e sciasciano nel rigore, nell’onestà intellettuale e in un certo cupo umorismo.
Non solo: gli anni della ricerca di Arpaia corrispondono a un lento ma costante imbarbarimento del contesto culturale, che l’autore registra attraverso la sua stessa esperienza. Sono le pagine in apparenza (ma solo in apparenza!) meno legate al tema di fondo; e forse anche le più belle. Penso al commosso ricordo di Giuseppe d’Avanzo; alla difficoltà di campare con traduzioni e articoli pagati sempre meno; alla scomparsa nel Paese di una, chiamiamola così, «cassa di risonanza» intellettuale; e soprattutto alla Red Patito di Paco Ignacio Taibo II, questa internazionale degli scrittori che «serviva anche a battersi per ritrovare i desaparecidos argentini, a promuovere una campagna contro il razzismo o a rivendicare la libertà d’espressione nei paesi dell’Est europeo prima e dopo la caduta del Muro. Serviva a discutere di letteratura e di politica, a scambiarsi esperienze, a consigliarsi reciprocamente libri da leggere (o da scrivere)» – insomma: «Amici, ma amici sul serio».
E a tal proposito: nel suo saggio Il punto cieco, l’amico di Arpaia Javier Cercas suggerisce di «definire il romanzo come un genere che si prefigge di proteggere le domande dalle risposte». Il fantasma dei fatti aderisce con convinzione a quest’idea, perché alla fine il mistero resta insondabile e viene offerto al lettore insieme alla sua indagine: «Spesso la realtà ci appare assurda, casuale, oppure è più complessa di ogni nostra immaginazione: si sfrangia, si diluisce, si confonde e ci confonde. Fino a diventare quasi inafferrabile. E noi esseri umani siamo condannati ad agitarci, di solito senza saperlo, soltanto nell’angusto territorio di quel «quasi».
Nel «quasi» vive il multiforme territorio del romanzo, in cui Arpaia si è incamminato con risolutezza e coraggio.