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 2020  febbraio 28 Venerdì calendario

Dante secondo Carlo Ossola

A Firenze Dante nacque. A Verona, dove trovò rifugio quale exul immeritus, compose gran parte del Paradiso. A Ravenna morì. Ma è Torino la città dove si tesse il filo delle celebrazioni per il 2021, quando ricorreranno i settecento anni dalla sua scomparsa. A presiedere il Comitato, Carlo Ossola, docente nel parigino Collège de France, allievo, sotto la Mole, di Giovanni Getto, fra i «lettori» ideali della Divina Commedia.
Che cosa si va delineando in vista dell’anniversario?
«Al Comitato sono giunti da tutta Italia, da altri Paesi europei, dall’America Latina, 322 progetti. Pubblicazioni, spettacoli, didattica, eventi nelle città di Dante...: il catalogo è ampio. Quelli su cui cadrà la scelta saranno finanziati con 2,5 milioni di euro».
Il suo «Virgilio» in questa avventura?
«Indubbiamente Giovanni Getto, con cui mi laureai. Ha avuto il notevole merito di rovesciare il paradigma di De Sanctis. Che si concentrava sul realismo dell’Inferno e sulla condizione di "pace e affetto" nel Purgatorio. Mentre relegava il Paradiso nella sfera teologica, ritenendolo estraneo all’orizzonte poetico».
Dante nomina Torino nel De vulgari eloquentia, fra le città che «situate così prossime ai confini d’Italia non possono avere loquele pure». In che cosa consiste la modernità della sua lingua?
«Edoardo Sanguineti, fra i più geniali allievi di Getto, nella lingua di Dante identificava la forza speciale di catturare la materia viva dell’uomo. Nell’Inferno, certo. Ma anche nel Paradiso. Dove i Beati mostran "disio d’i corpi morti", desiderio di rivedere il loro corpo terreno trasfigurato dalla resurrezione».
Ulteriori esempi di modernità?
«L’attenzione verso le parlate regionali. Dalla "arzanà de’ Viniziani" agli idioletti della Val d’Arno. E ancora: il mirabile artefice di neologismi, in particolare nel Paradiso. Come l’"insemprarsi", l’addentrarsi nel sempre».
Lei ha osservato: «La Commedia è soprattutto poema dell’eternità: l’oltrevita è più che la vita». Un memento per la stessa Chiesa cattolica, così invasa dal mondo, no?
«La preghiera alla Vergine di Dante, leggibile nelle festività mariane, è una gemma della liturgia. Così come non c’è inno, dai Salmi al Salve Regina, che non venga accolto nella Commedia».
L’oltrevita più che la vita. Non dimenticando il qui e ora...
«Marx, nel Capitale, dà atto a Dante di aver chiuso il Medioevo e di avere aperto tempi nuovi. E a lui ricorre per spiegare il rapporto fra merce e denaro. Citando in italiano il san Pietro del Paradiso: "Assai bene è trascorsa / D’esta moneta già lega e il peso / Ma dimmi se tu l’hai nella tua borsa"».
Il contributo di Dante alla definizione dell’idea di Europa?
«Per Dante esiste unicamente l’idea di universale, che coincide con il mondo cristiano. L’Europa ne è l’equivalente. Di sicuro ha offerto un contributo come storico. Chi studi le origini della monarchia francese non può ignorare il monologo di Carlo Martello nel Paradiso».
Dante politico. Il De monarchia. Il Poeta è un antesignano della formula cavouriana «libera Chiesa in libero Stato»?
«Non propriamente. La formula di Montalembert nell’interpretazione di Cavour implica una relazione di indipendenza fra Stato e Chiesa. Per Dante Impero e Papato sono due Soli; a caratterizzarli, una cooperazione di compiti. Entrambi mirano alla felicità dell’uomo, l’una terrena l’altra celeste».
Dante e il diritto. Un tema sviluppato da Hans Kelsen nella sua opera d’esordio, Lo Stato in Dante.
«La Giustizia, non solo umana, è in Dante un assoluto. La giustizia retributiva - il contrappasso permea le due prime cantiche - e la libera iniziativa della Provvidenza. Per cui Stazio è salvo, Virgilio no».
Dante e il Lager. «Il canto di Ulisse» è un capitolo di Se questo è un uomo. Primo Levi insegna l’italiano a Pikolo scandendo «...fatti non foste a viver come bruti».
«Dante, per Levi come per Mandel’stam, è compagno di ogni esilio e di ogni resistenza dell’umano all’abiezione».
Dante e l’Italia. Tristemente ritratta: «serva Italia», «nave senza nocchiere»... Una profezia nei secoli?
«Dante inaugura un genere letterario che si estenderà fino a Leopardi, alla canzone All’Italia. È l’arte della lamentazione, di antica, veterotestamentaria ascendenza: come non riandare ai Profeti, a cominciare da Geremia?».
Quale Dante la scorta nel ruolo di presidente del Comitato per le celebrazioni?
«Il Dante del Paradiso. Il pellegrino "romeo", come "colui che viene a veder la Veronica nostra", il volto di Gesù (prima che si conosca la Sindone). Di fronte al Lenzuolo conservato a Torino, stupendomi come il Poeta: "Mi parve pinta de la nostra effige"».
Quali scrittori italiani Dante ha «toccato» nel Novecento?
Ne rammento tre. Edoardo Sanguineti, Mario Luzi, Giovanni Giudici, che hanno "riscritto", rispettivamente, Inferno, Purgatorio, Paradiso».
Non scordando - riecco Torino - l’ode di Gozzano, che scopre Dante una volta terminate le scuole, lasciatosi alle spalle il «pedagogo fiacco»: «Ah! Non al chiuso, ma nel cielo terso, / nel fiato nuovo dell’antica madre, / nella serenità dell’Universo, / nell’Infinito mi parlavi, o Padre!».