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 2020  febbraio 28 Venerdì calendario

Intervista al direttore del Louvre Jean-Luc Martinez

«Leonardo da Vinci è costitutivo del Louvre. È l’artista più emblematico del nostro museo». Jean-Luc Martinez ha concluso in bellezza la mostra per il cinquecentenario della morte del genio rinascimentale, visitata da quasi 1,1 milioni di persone in quattro mesi, record assoluto. Per gli ultimi giorni lo spazio espositivo sotto la Piramide è rimasto aperto giorno e notte, con paste fresche e caffè serviti fino all’alba. «È stata una grande avventura» confessa l’archeologo e storico dell’arte, 55 anni, che dal 2013 è presidente-direttore del Louvre. L’incertezza dei prestiti dall’Italia ha pesato a lungo. Alla fine è arrivato L’uomo vitruviano, la pace è stata fatta. E il Louvre ha mandato a Roma due dipinti di Raffaello, Il ritratto di Baldassare Castiglione e l’ Autoritratto con un amico , per la grande mostra alle Scuderie del Quirinale.
È stata un’avventura ma ne è valsa la pena?
«È meraviglioso che un artista rinascimentale italiano continui ad affascinare il grande pubblico. Ho due motivi di orgoglio: essere riuscito a riunire il maggior numero di opere di Leonardo e aver accolto un pubblico così vasto e diverso».
Non sarà stato sorpreso.
«Il nostro obiettivo non è mai stato fare una mostra blockbuster, termine che non uso. La missione principale dei musei è far scoprire le opere, educare le nuove generazioni. Quasi il quaranta per cento dei visitatori della mostra di Leonardo sono giovani. È così che prepariamo il nostro futuro».
Cos’ha pensato delle polemiche in Italia, alimentate da una visione sovranista anche su Leonardo?
«Non ho mai voluto rispondere, è un dibattito che vi appartiene. Posso invece dire, tanto più che non sono di origine francese, che la Francia ha sempre venerato l’arte italiana. Nel cuore del Louvre ci sono la scultura romana e la pittura italiana».
Si aspettava che sarebbe stato così difficile celebrare Leonardo?
«Ora che le polemiche sono alle spalle, voglio ricordare che ogni anno, in media, il Louvre presta un centinaio di opere a musei italiani e ne chiede circa venticinque».
Nella lista di opere che avreste voluto c’era L’Annunciazione, esposta agli Uffizi.
«Era una lista ideale. Sapevamo che sarebbe stato complesso ottenere alcuni prestiti. Parliamo di opere vecchie di cinque secoli che sono in qualche modo miracolate. Quando nel 1939, prima della guerra, la Gioconda è stata portata via dal Louvre, abbiamo rischiato di perderla. Non è stata conservata bene».
Ogni tanto qualcuno torna a chiedere di esporla in Italia.
«La Gioconda ha viaggiato nel ventesimo secolo perché non c’era piena consapevolezza del pericolo che correva. È un dipinto a olio su tavola di legno di pioppo, estremamente fragile. C’è già una lunga fessura che attraversa il quadro. Mi spiace essere così netto, ma non potrà mai più viaggiare».
Perché non l’avete esposta all’interno della mostra?
«Nella sala della Gioconda passano quasi quarantacinquemila persone al giorno mentre nel nostro spazio espositivo la capienza è dieci volte meno. C’è anche una questione di principio. Le nostre mostre sono fatte per valorizzare la collezione permanente e invitare le persone a circolare altrove nel museo».
Un altro quadro che è mancato è il Salvator Mundi, venduto per oltre 450 milioni di dollari senza che si sappia dove sia, né il nome del proprietario.
«È un vero peccato. Eravamo pronti per accogliere l’opera, ma i proprietari hanno preferito non esporla».
Sono più persone?
«Non posso dire di più, ma credo non ci sia la volontà di nascondere il
Salvator Mundi. È stato scelto un altro luogo e un altro momento per farlo scoprire al pubblico».
Tornando alla Gioconda, la ressa intorno a quest’opera non è diventato un problema per il Louvre? Alcuni esperti suggeriscono di isolarla in un padiglione a parte.
«Avere questo capolavoro non è un problema, ma un’opportunità. Dei milioni di visitatori che vengono per vederla, una piccola parte scopre anche le sale di pittura italiana e francese, e magari va in altri dipartimenti. La Gioconda non è una malattia da isolare».
I selfie davanti al capolavoro non la disturbano?
«Si viene in un museo per avere una relazione personale con le opere.
Oggi c’è chi lo fa attraverso i selfie. Se qualcuno è infastidito può venire a gennaio, o nei giorni di apertura serale, il mercoledì o il venerdì. Ci sono momenti in cui è possibile trovarsi quasi da soli davanti alla Gioconda ».
Beyoncé è la persona giusta per promuovere il Louvre?
«Beyoncé e Jay-Z visitano regolarmente il Louvre per nutrire il loro immaginario artistico. Nel loro video (girato per la canzone Apeshit, ndr) hanno valorizzato dipinti meno noti, come Portrait d’une négresse, che oggi sono cercati da alcuni visitatori. Non ci vedo niente di male, anzi. Molte persone pensano che andare al museo sia scontato. Invece è un fenomeno nato nel Settecento che potrebbe scomparire nel ventunesimo secolo».
Perché? Si costruiscono tanti nuovi musei e fondazioni.
«C’è una moltiplicazione di gesti architettonici, ma non esiste una vera riflessione su quale sia il senso di un museo. Soprattutto per chi come noi espone arte antica. Abbiamo la stessa sfida della musica classica: attrarre un pubblico nuovo».
Lei vuole un museo sempre più popolare?
«Non usereiquesto termineperché ha ormai un’accezione populista.
Guardiamoal passato. Imusei erano elitari, ai bambini era persino vietato l’accesso. Oggi invece nel Louvre si possonoincontrare personedi diversi ambienti sociali, culture e generazioni. È un luogo di educazione, confronto e libertà. Ma il sessanta per centodei francesi non frequenta musei. C’èancora molto dafare».