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 2020  febbraio 28 Venerdì calendario

Le moderne armature di Paco Rabanne

Non deve essere facile per tutti i creativi di oggi trovare sempre la chiave nuova per portare avanti lo stile dei padri fondatori di tanti marchi storici. È una sfida infinta e una responsabilità enorme. Personalità e creatività al servizio di un heritage che spesso ha detto tanto e tutto e in tempi culturalmente e socialmente lontani. Paco Rabanne, per esempio, che negli anni Settanta scrisse un capitolo fondamentale della moda affrontando battaglie e pregiudizi e conquiste. Lui lo stilista spagnolo fu il primo a usare plastiche e metalli e carta (era i 1966 quando cominciò): lo chiamavano il metallurgico. E se ieri, come è successo, Julien Dossena, il designer che da sei anni disegna Rabanne, ha raccolto tutti quegli applausi, sono stati più che meritati. La sua interpretazione della maglia metallo del più famoso «fondatore» è stata a dir poco spettacolare: abiti scivolati, ripresi e drappeggiati finiti da cappucci e in colori scuri sono stati un gran bel vedere. Le segrete della Conciergerie e un’atmosfera cupa, medievale a tratti religiosa con i canti sacri in sottofondo a sottolineare l’ispirazione e il rigore prezioso delle lavorazioni. A contrasto lo splendore dei materiali. Da Rick Owens escono nella nebbia le sue vestali tribali, dai capelli lunghi e increspati come criniere, che incedono seriose su platform vertiginosi e dai tacchi trasparenti. Indossano abiti tubolari avvolgenti, mini da una parte e una lunga coda dall’altra. Sopra impermeabili in pvc. Statuarie, in crescendo quando le spalle s’ingigantiscono a dismisura sino ad elevarle a guerriere, talvolta con mantelle-coperte di piumino enormi. È un lavoro su forme e silhouette notevole.
È la gente di tutti i giorni, quella che capita di incontrare all’uscita del metrò, nella hall di un ufficio, attraversando una piazza, andando all’università quella che Christophe Lemaire fa sfilare nella grande entrata dell’Università di Medicina di Parigi. Uno show del quotidiano: la signora di una certa età che vaga chiedendo informazioni, gli studenti che si ritrovano a discutere, il professionista con il giornale in mano, la mamma frettolosa. Le modelle (poche) si riconoscono per portamento e passo ma distraggono di più le persone «normali», un po’ impacciate o divertite o incuriosite o caricaturali. Ma l’effetto interessante è sugli abiti, che sono per tutti, senza distinzione di sesso, nazionalità, età e fisicità. Il sottolinearlo sta nella sceneggiatura, appunto. Che è il messaggio di Lemaire, fedele al suo approccio alla moda per un quotidiano vero: trench e cappotti, giacche blouson, completi over size impeccabili, pullover girocollo. Colori di conseguenza: nero, cioccolato, ghiaccio, grigio e cammello. 
Da Kenzo la nuova era si chiama Felipe Oliveira Baptista che «rinchiude» pubblico e show in una bolla di plastica creando l’atmosfera perfetta per la sua tribù di ragazzi e ragazze nomadi ed esploratori che sembrano camminare a contatto con la natura e la città: indossano parka e blouson, poncho e anorak, mimetiche e sahariane che tutte una zip e una tasca. Cappelli e cappucci accentuano l’assoluta sensazione del bisogno di proteggersi. Sin troppo.