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 2020  febbraio 27 Giovedì calendario

Sbeffeggiare le divinità fa bene allo spirito

È sorprendente quante risate risuonino nell’alto dei cieli e quanto facciano bene, eppure quelli che hanno capito quanto ridere sia importante per l’umanità corrono sempre dei pericoli, perché la risata è un esplosivo instabile ed è facile che sfugga di mano. Allo stesso tempo, è nell’aria altissima e rarefatta delle religioni che la varietà dei rapporti fra l’uno e la divinità diventa vario e interessante: è il tema del saggio Ridere degli dèi, ridere con gli dèi, edito da Il Mulino (245 pagine, 22 euro), scritto a sei mani dal classicista e filologo dell’Università di Siena Maurizio Bettini, il docente di religioni e filosofie dell’Asia Orientale all’ateneo Ca’ Foscari di Venezia Massimo Raveri e l’antropologo culturale professore all’Università di Torino Francesco Remotti. Lo studio dei tre professori prende le mosse dalla strage avvenuta nel 2015 nella sede del settimanale satirico Charlie Hebdo a causa della pubblicazione di vignette che raffiguravano Maometto: due uomini armati fecero irruzione nella redazione inneggiando ad Allah e uccisero dodici persone. Per Bettini è l’esempio più eclatante di quanto per le tre grandi religioni abramitiche (Ebraismo, Cristianesimo e Islam), con le quali siamo a più stretto contatto, scherzo e culto siano mondi che non possono entrare in contatto. Sant’Agostino, per esempio, fu orgoglioso alfiere di tanta serietà, ma aveva anche qualche ragione, essendo nato ai margini dell’impero romano, nell’odierna Algeria, e avendo vissuto a cavallo fra il quarto e quinto secolo, un momento in cui la cristianità era impegnata a imporsi come unica vera religione e a sovrapporsi al litigioso, ma anche frivolo e allegro pantheon greco-romano. 
Nell’Atene del V secolo Socrate, secondo quanto riporta Platone nel Cratilo, sosteneva che “anche gli dei amano lo scherzo”. E il mondo, in particolare quello greco-romano, l’Estremo oriente e l’Africa, è popolato di culti che gli autori hanno denominato “joking religion”, che cioè accolgono la dimensione dello scherzo come una parte strutturale di loro rituali e delle loro narrazioni. E, curiosamente, più una religione accoglie gli scherzi, più è tollerante nei confronti delle altre.
Già il mondo dei poemi omerici offre vari episodi in cui con gli dèi e degli dèi si ride. Nell’Odissea, per esempio, Afrodite, che è sposata con Ermes, si intrattiene con Ares, dio della guerra; quando il marito li sorprende li intrappola in una rete infrangibile per il ludibrio degli altri inquilini dell’Olimpo, il che puntualmente avviene: tutti, gli dèi e gli ascoltatori della storia, ridono del dio marziale e sanguinario esposto nudo impigliato in una rete, di Afrodite troppo allegra e anche del povero Efesto, che già di suo è goffo, perché i cornuti fanno sempre ridere. Si ride degli dèi e con gli dèi. 
Aristofane, nella commedia Le Rane addirittura se la prende con Dioniso, che per riportare Euripide in vita dall’Ade, si traveste da Eracle, indossando una pelle di leone. Sotto il virile abbigliamento, però, Dioniso lascia intravedere una tunica da donna e le scarpe con il tacco: Eracle quasi muore dal ridere. Dall’altra parte del mondo, in Cina, per il buddhismo zen ridere è un elemento essenziale dell’esperienza spirituale e il comico rappresenta la percezione più seria della realtà tanto che i maestri manifestano agli allievi la loro perfezione spirituale, ridendo. In Giappone il dio shintoista della risaia, che si chiama Ta No Kami, consente raccolti e buona pesca: è un uomo con una grande pancia, che visto da dietro ha forma fallica; e ride, come si ride in tutti i riti e le feste che lo riguardano, perché il riso rappresenta l’armonia fra uomo e divinità. 
In Africa l’umorismo religioso ha dei lati che per noi sono difficili da apprezzare, per esempio sulla circoncisione: i Ndembu, popolazione dello Zambia, trova divertente il mito per cui il rito ha avuto inizio quando dei bambini, correndo in mezzo a erbe affilate si sono tagliati proprio lì… Sono invece irresistibili le disavventure di Wulbari, dio dei Krachi, popolo fra Togo e Ghana: il quale fu costretto ad allontanarsi dagli uomini perché lo usavano come asciugamano. E soprattutto per colpa di una serie di vecchie che lo seviziavano: una lo batteva con il pestello mentre faceva la polenta e lo affumicava con i vapori della pentola; e un’altra vecchia all’ora di pranzo tagliava ogni volta un pezzetto del corpo del dio per fare una zuppa migliore. Ragion per cui Wulbari decise di tagliare la corda, in alto, dove lo si poteva ammirare ma non raggiungere.