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 2020  febbraio 27 Giovedì calendario

L’influenza asiatica del 1957 uccise 30 mila italiani

H2N2! Dice qualcosa questa sigla? Impariamola. Venerdì 4 ottobre del 1957 a pagina 2 dell’Unità apparve questo titolo: «Quattordici morti per l’influenza asiatica in soli tre giorni nella provincia di Roma». Il ritaglio dell’Unità documenta che in quei primi giorni di ottobre, nella sola zona della capitale, i casi di contagio erano stati 4.728. Non basta, la campana suona anche per «altri decessi ad Alghero, Brunico e Pratola Peligna». Da Nord a Sud, la misteriosa Asiatica non dà tregua. «Sempre grave l’epidemia in Sicilia». Si cita la provincia di Lecce con «3mila casi accertati». Questa la cronaca densa di altri numeri «preoccupanti». Un corsivo senza firma dà la linea ai compagni comunisti, criticando ovviamente il governo reazionario: «Si doveva e si poteva», tuona la retorica. Che cosa? Fermare il virus. Una domanda però: perché a pagina 2? Cadevano giovani e donne incinte come birilli, investiti dall’H2N2 di origine cinese, e invece l’opposizione si attestava sul minimo sindacale. Oscurantismo? Magari era un’altra dirigenza politica. Non apparve nel telegiornale unico della Rai alcun presidente del Consiglio con la faccia sconvolta. In quel momento a Palazzo Chigi c’era Adone Zoli, guidava un monocolore scudocrociato. Mandò avanti, non in tivù ma in Parlamento, un senatore della Valsugana, Angelo Mott (Alto commissariato Igiene e Salute), con il nome tronco, spiccio, l’italiano pulito e ordinato come la sua barba da alpino. Stiamo preparando il vaccino. Abbiamo chiuso le scuole elementari dove necessario. In una certa percentuale dei casi attacca i polmoni. E purtroppo registriamo dei morti. Casino universale? Assalto alle botteghe e alle drogherie? Nulla di tutto questo. Panico zero, paura moderata. In quale epoca una madre non ha dovuto aver timore per il destino dei propri figli? 

PEGGIO DEL COVID-19
Uno potrebbe dire: c’è influenza e influenza. D’accordo. Ma i primi riscontri su velocità e letalità dicono che l’H2N2 si prospettava come una bestia ben peggiore del Covid-19, di cui è un progenitore. Influenza asiatica, oibò, e che sarà? Nei libri di storia, e dai nonni o bisnonni, abbiamo letto o sentito parlare del flagello della «spagnola» che mieté dieci milioni di vittime nel mondo, e portò via tanti nostri antenati (mezzo milione). Ma l’asiatica chi ce l’ha mai raccontata? In questi giorni nessuno. Eppure tra il 1957 e 1958, secondo l’Enciclopedia Britannica e l’archivio scientifico della Bbc, essa causò «tra un milione e due milione di morti». Una forbice larga, direbbe Nicola Piepoli. L’incertezza si spiega con il mistero della Cina, dove l’H2N2 si combinò con la carestia provocata da Mao Zedong per «il balzo in avanti» (nella fossa del comunismo). In Occidente si può lavorare con maggiori sicurezze statistiche. Da cui si ricava che il record di decessi tra i Paesi sviluppati fu appannaggio degli Usa: a tutto il marzo del 1958 gli americani avevano già seppellito 69.800 persone nei loro bei cimiteri. Diecimila morti in più di quelli che avrebbe provocato nel decennio successivo tra i giovani yankee la guerra in Vietnam. E in Italia? Proporzionalmente, rispetto al numero degli abitanti, andò peggio. Ricercando nelle emeroteche elettroniche, si scopre l’unica cifra ufficiale disponibile. L’8 maggio del 1958, il Corriere della Sera diede notizia dell’ecatombe in un trafiletto di 37 righine, a pagina 9, con un titolo ad una colonna: «Oltre trentamila morti per l’“asiatica” in Italia». Sommario: «L’epidemia ha colpito 28 milioni di persone». Si riepilogava una relazione del «prof. Bevere dell’Alto commissariato per l’Igiene e la Sanità». La stima del governo era questa: a risultare graffiato dalla forma influenzale H2N2 era il 57 per cento della popolazione (appunto 28 milioni), anche se i casi denunciati – presumibilmente quelli gravi – erano stati due milioni. Ed ecco il numero tremendo: il contagio che era stato letale precisamente per 30.684 nostri concittadini. Il numero era stato ricavato considerando l’“eccedenza” di decessi rispetto all’identico periodo ’56-’57. Una cifra per difetto nel computo totale, perché l’H2N2 torno poi ancora nell’inverno del 1960. 

«AUSTRALIANA»
È molto istruttivo scorrere le pagine del Corriere della Sera e del Corriere d’Informazione nel periodo tra agosto 1957 e fino al marzo 1960 (in quell’anno olimpico era stata definita australiana, infine ritornò al nome originario). Colpisce che mai si sia data la prima pagina all’Asiatica e tanto meno l’apertura. Stupisce maggiormente il quotidiano del pomeriggio di Via Solferino, che dovrebbe essere sulla carta scandalistico, ma non usa mai caratteri cubitali per incendiare lo spavento. Il 18 settembre propone un titolo a due colonne, taglio basso: «Ventimila soldati colpiti dall’asiatica». Poi nel sommario spegne subito il falò della terrore: «Sedici mila hanno già ripreso servizio – Solo tre casi mortali». Solo! Scrivono solo! Immaginate tre soldati morti oggi di Coronavirus. Conte avrebbe fatto arrestare tutti i medici dell’ospedale militare del Celio. Il ministro della Difesa, Paolo Emilio Taviani, diffuse in trasparenza questi dati in un comunicato: nessuna mamma, dopo averlo letto sul Corriere, andò a prendere il figlio fuori della caserma, urlando si salvi chi può, crepiamo tutti! Evitare contatti, non assembrarsi, fidarsi dei medici. Prudenza. Le notizie ci sono tutte. Ma nelle pagine interne. Il Corriere della Sera a pagina 7, solite due colonne, scrive «Quindicimila romani colpiti dall’“asiatica”. Tre morti sospette. L’epidemia si amplia in modo preoccupante». Quindici morti a Torino, cinquecento casi al giorno sotto la Mole (13 e 16 ottobre). Panico mai. Una corrispondenza da Ginevra, una colonnina in basso, sancisce: «La psicosi della paura più grave della malattia». A pagina 5 un racconto dove trapela un lieve inopportuno godimento perché «la marina da guerra inglese è fuori combattimento per l’asiatica». C’è anche un articolo spedito da «Londra, 2 ottobre notte: Il principe Carlo a letto con l’influenza». Ci rompeva le scatole con il suo gonnellino sin da allora. 

TEMPRA PERDUTA
Voltiamo pagina su pagina, finché ci commuoviamo ancora adesso leggendo nella cronaca milanese: «Tre morti per l’influenza asiatica: un martinitt (un orfano, ndr), una bimba, una vecchia» (7 ottobre 1957, pagina 4). Sembrano davanti a noi, pallidi, nessun aggettivo. Drammatica sobrietà. Eppure di quell’epopea non si ricorda nulla, a scuola e in famiglia. Non se ne tramanda una memoria orale e neppure scritta. Forse perché quella generazione, appena uscita dalla guerra, non aveva così paura di morire, da scrivere il diario dei suoi tremori e dei suoi lamenti. Eravamo noi italiani gente più seria. Politici e giornalisti compresi. Magari sarà il caso di imparare dalla vigoria che manifestò quell’Italia che non si faceva fermare da un microbo stronzo, e procedeva con una voglia di lavorare e di creare futuro che è il miglior antidoto al panico. Il terrore è figlio della stupidità e di un’idea della vita infettata dal culto dell’amuchina. Un’altra classe politica, da destra a sinistra, carogne certo, alcuni ladri, senz’altro. E però senza volti compunti di ministri ad uso televisivo, senza accuse farneticanti a medici e infermieri, propalando come ha fatto il premier Giuseppe Conte la certezza universale che l’untore del Coronavirus sia un ospedale della Lombardia. Ripassiamo la lezione degli anni 50. Quella tempra si è proprio irrimediabilmente perduta?