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 2020  febbraio 27 Giovedì calendario

Via Iger, il re Mida della Disney

«È un po’ tardi, non le pare?» Robert Iger ha risposto così a chi ieri, sorpreso dalla notizia dell’improvvisa fine del suo regno (ben 15 anni) alla guida della Disney, gli chiedeva se pensasse di candidarsi alla Casa Bianca. Parlando di un tempo troppo avanzato, si riferiva all’età (Iger ha 69 anni, quasi dieci meno di Sanders, Biden e Bloomberg) o – cosa più probabile – al fatto che ormai i giochi sono quasi fatti (anche se poi, in realtà, se si arriverà alla convention di luglio senza un candidato democratico già designato, potrebbe esserci spazio per un outsider)?
Lui non lo ha chiarito, ma forse la cosa non è così essenziale: è improbabile che Iger scenda in politica. Ma la domanda era legittima perché in passato il suo nome è circolato spesso. Ancora sei mesi fa, quando Bloomberg escludeva una sua candidatura, il manager carismatico e di grande successo che ha trasformato la «fabbrica dei sogni» di Walt Disney nel gigante mondiale dell’intrattenimento e del divertimento acquistando, anno dopo anno, Marvel, Pixar, Lucasfilm con le sue Guerre Stellari e, da ultimo, anche la 21st Century Fox di Murdoch, sembrava l’uomo dell’industria meglio posizionato per il gran salto verso la presidenza.
Oggi, anche se l’improvviso passaggio del testimone da Iger al nuovo amministratore delegato Bob Chapek ha sorpreso tutti, anche all’interno dell’azienda, e se ci sono aspetti del caso ancora da chiarire, il top manager sdrammatizza sottolineando che non sta lasciando il gruppo: si sta solo ritirando nel ruolo di presidente operativo fino alla scadenza del suo contratto, nel dicembre 2021. Cosa che, dice, gli consentirà di dedicarsi a tempo pieno allo sviluppo della parte creativa del lavoro della Disney, senza più avere le mille incombenze amministrative quotidiane che pesano sulle spalle di un Ceo.
Se così fosse, l’operazione sarebbe stata mal gestita dal punto di vista della comunicazione: la svolta improvvisa è stata presa male dalla Borsa che a caldo ha punito il titolo (meno 3 per cento, poi in parte recuperato) e anche dal personale, disorientato per aver saputo del cambio della guardia dalla Cnbc anziché da una comunicazione interna.
Imprenditore di successo, innamorato del suo lavoro, Iger aveva già rinviato ben quattro volte il suo pensionamento, giurando, alla fine, che non sarebbe rimasto oltre la fine del 2021. Quando Rupert Murdoch gli vendette (per 71 miliardi di dollari) le attività televisive e cinematografiche della Century Fox (salvo i canali di informazione politica e finanziaria) gli analisti ipotizzarono una staffetta: Iger alla guida del gruppo ancora per un po’ e poi la scelta del figlio dell’editore australiano, James Murdoch, come successore. Ben presto fu evidente che Iger non aveva alcuna intenzione di farsi da parte: James uscì del tutto e oggi si occupa di tecnologie per l’ambiente.
Da un punto di vista economico quella di Iger è stata una gestione di straordinario successo. Il titolo Disney, scambiato a 23 dollari quando il manager prese la guida dell’azienda, 15 anni fa, qualche giorno fa (prima delle flessioni per l’effetto coronavirus e per l’uscita del Ceo) era arrivato a valere 145 dollari. Ma il successo ha anche significato espansione. Un’azienda divenuta gigantesca e molto complessa da gestire: 170 mila dipendenti in tutto il mondo, le produzioni cinematografiche di grande successo (i film di Hollywood che arrivano ad incassi miliardari sono quasi tutti delle varie scuderie della Disney), i nuovi servizi di distribuzione online diretta (Disney+ e Espn+ per lo sport) per sfidare Netflix e la moltiplicazione dei parchi e resort Disney World in tutto il mondo. A partire da quelli creati a Hong Kong e Shanghai, ora chiusi per via dell’epidemia virale. Forse davvero Iger vuole ritirarsi da tutte queste problematiche gestionali per dedicare i suoi ultimi due anni in azienda a stimolare nuovi impulsi creativi.