Il Post, 26 febbraio 2020
A proposito del vaccino per il coronavirus
Edward Jenner era un medico britannico piuttosto sveglio, e un buon osservatore. Alla fine del Settecento, notò che le donne mungitrici guarite dal vaiolo bovino non sviluppavano l’altra forma di vaiolo, molto più grave e mortale. Capì che, proprio grazie al contagio con una versione della malattia molto meno aggressiva (all’epoca non si sapeva nulla dei virus), le mungitrici erano diventate immuni.
Jenner sperimentò la sua teoria su James Phipps, un bambino di 8 anni figlio del suo giardiniere (sì, erano altri tempi): lo infettò con del pus ottenuto dalle lesioni di una mungitrice che aveva contratto il vaiolo bovino. Il povero Phipps, come previsto, si ammalò e nel giro di pochi giorni guarì perché la malattia era poco aggressiva. Un paio di mesi dopo, Jenner infettò nuovamente il ragazzino, questa volta con materiale proveniente da una persona malata del ben più pericoloso vaiolo. Phipps non si ammalò, confermando la teoria di Jenner sull’immunizzazione. La sua scoperta, due secoli dopo, avrebbe portato alla completa eradicazione del vaiolo grazie ai vaccini, un risultato storico.
La parola stessa “vaccino” deriva da “Variolae vaccinae”, cioè “vaiolo della mucca” in latino, locuzione che Jenner introdusse nel trattato che pubblicò sul tema. Fu il biologo francese Louis Pasteur, fondatore della moderna microbiologia e pioniere nello studio degli agenti che oggi chiamiamo virus, a proporre nel 1881 di utilizzare la parola “vaccino” per definire le inoculazioni in generale, e non solo quella del vaiolo. (Tutto il resto dell’incredibile storia su come nascono i vaccini è qui.)
Oggi la ricerca dei vaccini prevede l’impiego di tecniche e sistemi molto più raffinati. Prendete l’azienda farmaceutica statunitense Moderna, per esempio: ha sviluppato un primo vaccino sperimentale contro il coronavirus, senza avere nemmeno bisogno di portare il virus nei suoi laboratori (con tutti i rischi che avrebbe comportato). In appena un mese, i suoi ricercatori hanno identificato una sezione della sequenza genetica del coronavirus promettente per indurre una reazione immunitaria nell’organismo di chi lo riceve, senza che però si sviluppino i sintomi della malattia (un po’ come aveva fatto Jenner con Phipps).
Il vaccino sperimentale sarà testato a partire da fine aprile, prima di tutto per verificare che sia sicuro: se andrà tutto liscio, sarà poi testato su centinaia di volontari. L’intero processo richiederà un anno di lavoro, e nulla garantisce un esito positivo. Vale la pena tentare, però, e nel frattempo saranno pronti altri vaccini da sperimentare allo stesso scopo.