ItaliaOggi, 26 febbraio 2020
Periscopio
Non ho mai considerato Carlo Freccero un genio della tv. È bravo nell’orale, ma nello scritto non mi ricordo di suoi programmi memorabili nei sette anni da direttore di Rai 2. Giovanni Minoli (Stefano Lorenzetto). Corsera.
La solitudine vera la provano solo quelli che toccano la vetta. È il loro destino e la loro condanna. Da un lato l’eternità e dall’altro l’irrilevanza. Leone Magiera, maestro di Luciano Pavarotti ( Antonio Gnoli). la Repubblica.
Ha stupito l’assenza di Palazzo Chigi ad Hammamet. Basti pensare che lo stesso D’Alema mandò Marco Minniti in sua rappresentanza al funerale di Craxi. Davide Faraone, capogruppo al Senato di Forza viva (Pier Francesco Borgia). il Giornale.
Dopo un furioso litigio, la madre adottiva di Antonio Ligabue chiese alle autorità di espellerlo temporaneamente dalla Svizzera per mandarlo a Gualtieri, paese del marito della madre naturale, che gli aveva dato il suo cognome prima che il bambino andasse in affidamento. E, a vent’anni, Antonio, detto Toni, arriva nella Bassa Reggiana senza parlare una parola d’italiano e senza conoscere nessuno, perché di parenti non ce ne sono. Non potrà più tornare in Svizzera. Il Comune gli assegna un letto al Ricovero di mendicità Carri, una piccola sovvenzione, e un lavoro come scariolante alla costruzione degli argini del Po. Paola Zanuttini. il venerdì.
Stiamo tentando di distruggere l’industria della plastica, seconda in Europa, riempiendola di imposte. L’auto da tempo è scappata. Per la prima volta da anni il distretto di Brescia (concentrato sull’automotive) ha segnato il meno nella sua produzione industriale. Il governo, che aveva un venditore di bibite allo Sviluppo economico e oggi agli Esteri, ha deciso di tassare la merce che dava la mancetta al ministro in calzoncini. Nicola Porro. il Giornale.
Il cattocomunismo, in realtà, è una manciata di anziani autoproclamatisi Numi tutelari della Nazione. La centrale è il Colle al quale, come detto, la Sinistra si avvinghia come un polpo tentacolare. A ingolosire, è il potere del Capo dello Stato di mutare, con arti sofisticate, il risultato elettorale sgradito. Ci è riuscito, Mattarella, col centrodestra vittorioso nell’elezione del 4 marzo 2018. Con il 37 per cento dei voti (5 più dei grillini, 14 più della Sinistra) Lega-Fi-Fdi si aspettavano l’incarico di formare il governo. Pretesa sacrosanta. Mattarella però gliel’ha negato, sentenziando che non avrebbero trovato alleati in Parlamento. Con ciò – ammirate la destrezza – mise in piedi lo spericolato governo gialloblu che non ha retto. Poi, completando il capolavoro, ha estratto dal cilindro un nuovo governo con il Pd che, non solo è il suo partito, ma quello uscito più malconcio dalle ultime «politiche». E l’elettore? Tiè. Giancarlo Perna. LaVerità.
Passai alla Ata Univas e ottenni il primo stipendio accettabile, 240 mila lire, ma rimasi solo un anno. Trovai alloggio da una sartina sposata con un investigatore privato che riceveva nello Studio Lince. Lessi sul giornale che un’agenzia di marketing cercava collaboratori e passai alla Lintas. Creammo l’uomo in ammollo di Franco Cerri. Il copy nel frattempo se n’era andato alla Mc Cann Erickson e poco dopo mi chiamò con sé. Lui era Massimo Magrì. Avevamo commesse di Gillette, Esso, Motta. Ci arrivavano le «pizze» americane. Mollai il posto e volai a New York dove, prima di tutto, mi iscrissi a un corso di inglese. Gavino Sanna, pubblicitario (Paolo Baldini). Corsera.
Esempio: nel 2020 ci sono nel mondo 99 democrazie, rispetto a 87 nel 2000, 51 nel 1990, 40 nel 1980, 36 nel 1970 e 10 nel 1920, ma nessun giornale aprirebbe la prima pagina con una notizia simile. Le notizie positive non interessano, si dice. Enrico Franceschini. il venerdì.
Il processo alla coppia Ceausescu fu rapido, sollecitato continuamente da Bucarest e da Mosca, con giudici arrivati in elicottero (in buona parte militari e amici di Iliesco). Nicolae ed Elena erano sconvolti, non ebbero nemmeno il tempo di rispondere alle domande della Corte, ingiuriati e strattonati, portati davanti a un muro della caserma e fucilati da paracadutisti arrivati da Bucarest. Le raffiche dei mitragliatori si susseguirono sui corpi a terra. Lo stesso 25 dicembre vennero portati in elicottero, avvolti nelle coperte militari e seppelliti in fretta e furia in un cimitero di Bucarest. Si è chiuso così un regime tirannico, durato ben 45 anni (fra cui 24 di potere assoluto del «Conducator»). Aldo Forbice. LaVerità.
Con il carro funebre che portava Curzio Malaparte da Roma verso la sua Prato ci eravamo lasciata alle spalle la rocca di Radicofani accesa dalla luna, alta sul monte, fronte a sinistra. Un pattuglia della «stradale» ci intimò l’alt su in rettifilo. Uno dei noi si affacciò e disse: «È Malaparte!». I due militi allora si posero sull’attenti e salutarono con la mano al casco. Il sottufficiale però si accostò alle macchine, e disse: «Era birichino, Malaparte!». Poi ci fece un cenno di andare. Franco Vegliani, Malaparte. Guarnati, 1957.
Il ripiegamento, come ogni grande sciagura, suscita scene disgustose, mette a nudo la vera natura degli uomini, ravviva gli istinti e spegne gli slanci. Ma non sempre: il caporale del Genio, Francesco Meloni, sardo di Carbonia, giace abbandonato con un piede ferito, viene raccolto da un tenente medico tedesco e sarà trasportato finché non si trovi un ospedale organizzato dove restare. Paolo Caccia Dominioni, Alamein. Longanesi, 1966.
Nel vanvitelliano appartamento padronale, tutto drappeggi e tendaggi, tapisseries di grande importanza storica, letto scolpito e cuscini spumeggianti, cornici dorate e paralumi galanti, sante caravaggesche e santini «Perugina» di squisita fattura, Stefania (la «nostra» Stefania) sta apprestandosi a coricarsi fra due guanciali cilestrini. Alberto Arbasino, Specchio delle mie brame. Adelphi, 1995
Nel passare per borgo, Ettore s’abbattè in certe povere donne, mezzo coperte di cenci, che traendosi dietro per mano, o recandosi in collo i loro bambini cascanti dalla fame, andavano frugando per quelle case abbandonate, se mai fosse sfuggita qualche cosa all’ingorda avarizia de’ soldati che le avevan messe a sacco. Il cuore del giovane faceva sangue a questo spettacolo, e non potendo dar loro aiuto non poteva nemmeno sostenerne la vista, onde punse il cavallo, e di trotto si dilungò sin fuori all’aperto. Ma in lui risorsero più forti i pensieri delle miserie d’Italia, e lo sdegno contro i francesi, che n’erano autori. Massimo D’Azeglio, Ettore Fieramosca – Ovvero la Disfida di Barletta. Vallardi, 1963.
Senatori a vita in punto di morte. Roberto Gervaso. il Giornale.