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 2020  febbraio 26 Mercoledì calendario

Il caso della a setta che ha infettato la Corea

Dalla libertà religiosa all’efficienza del dispositivo di difesa nazionale, la risposta delle autorità al problema del coronavirus solleva in termini inediti negli stati democratici questioni molto delicate riguardanti da un lato il rapporto tra i cittadini e lo Stato, dall’altro le priorità e i gradi di invasività nell’azione dei pubblici poteri. Ne è testimonianza quando sta accadendo in Corea del Sud, dove il governo intende sottoporre a test sanitari tutti i membri (fino a 220mila secondo alcune stime) di una controversa setta religiosa considerata particolarmente a rischio di diffusione dell’epidemia: circa la metà dei casi di contagio nel Paese (saliti ieri a 977, compreso un membro dell’equipaggio della compagnia Korean Air) sono tracciabili presso la branca di Daegu del gruppo cristiano Shincheonji, che avrebbe circa 1.100 luoghi i culto e annessi in tutta la Corea.
Il presidente Moon Jae-in si è recato ieri nella quarta citta’ del Paese, che concentra i casi di infezioni (791, assieme alla limitrofa provincia di North Gyeongsang), che si sono estesi a personale militare (ameno 18 casi). Questo ha indotto il ministero della Difesa a provvedimenti drastici: 7.700 membri delle forze armate messi in quarantena, confinamento in caserma per tutte le truppe nell’area di Daegu, sospensione delle operazioni di reclutamento, abolizione di ogni conferenza stampa, colloqui con l’alleato Usa per ridurre le attività operative congiunte di addestramento.
Una situazione senza precedenti che chiama in causa anche la circolazione delle persone: se sono saliti a 24 i Paesi che bandiscono l’ingresso (o lo ammettono previa quarantena) di persone provenienti da Seul, il governo viene molto criticato per non aver vietato l’ingresso ai cinesi (salvo a quelli provenienti da Wuhan, epicentro della crisi).
Un altro test di tolleranza investe una società in cui proliferano controverse sette religiose, che non di rado finiscono al centro di polemiche e anche di procedimenti penali. Oltre 600mila firme sono state raccolte per una petizione online con la richiesta di sciogliere la setta Shincheonji: fondato 36 anni fa da un carismatico santone, Lee Man-hee (oggi 88enne), che i seguaci considerano il nuovo Messia, il gruppo dei “Cieli e terra nuova – Chiesa di Gesù, Tempio del tabernacolo della testimonianza (secondo la definizione completa) aveva fondato l’anno scorso una filiale a Wuhan.
Una seguace 61enne della setta è oggi la persona più odiata in Corea in quanto considerata “super-diffusore”, ovvero untrice: avrebbe prima sottovalutato a lungo i sintomi e poi evitato precauzioni anche dopo la diagnosi, utilizzando trasporti pubblici e partecipando a ripetute funzioni. Le pratiche della setta sembrano oggi fatte apposta per agevolare i contagi: lunghe “messe” fino a due ore, in cui i fedeli si sdraiano in ginocchio a terra a contatto di gambe e gomiti, tra canti e ripetizione a gran voce la parola “Amen” praticamente dopo ogni frase del pastore. Ad allarmare la popolazione è anche il fatto che gli aderenti sono tenuti a vincoli di segretezza: non rivelano di far parte dell’organizzazione. Ma d’ora in poi non ci sarà segreto, almeno per le autorità: lo stesso “Messia”, in una lettera postata su Internet, ha assicurato una «cooperazione fattiva con il governo al fine di prevenire la diffusione del virus» fornendo un elenco completo di aderenti, sempre che – aggiunge – «le autorità proteggano le informazioni personali».
Non tutti si fidano dell’impegno a fornire elenchi esaustivi e numeri di contatto dei membri della setta: non a caso, dopo un caso conclamato di contagio, le autorità della provincia di Gyeongi, oltre a chiudere tutte le sedi di culto della setta, hanno provveduto a sequestrare i computer presso una delle “filiali”, per mettere le mani sugli elenchi di aderenti e di partecipanti alle recenti funzioni. Un paio di altri piccoli focolai connessi a gruppi religiosi sono emersi, sia a Busan sia a Seul. Nella capitale da quasi 10 milioni di abitanti l’allarme è grande: i casi sono già una trentina e molti luoghi pubblici o aperti al pubblico sono stati chiusi.