Corriere della Sera, 26 febbraio 2020
Dior, amore & consenso
Meno baci&abbracci ma la gente c’è. E tanta. Qui a Parigi alla fashion week. Più di una battuta e occhiataccia agli italiani, ma nessun controllo e nessun divieto. Poi c’è lei, l’italienne, Maria Grazia Chiuri alla quale sono andati applausi infiniti, nel tendone allestito nei giardini delle Tuileries, per la sua Dior femminista e rivoluzionaria, ancora una volta. Un’autobiografia dei ricordi, l’ha definita lei: fotografie della sua adolescenza ritrovate in un armadio, «immagini che ho osservato con occhi diversi: mio padre e mia madre e la loro generazione che vissero le battaglie sociali, dall’aborto al divorzio alla famiglia, d’istinto, senza rendersene conto, e che inevitabilmente portarono anche a un cambiamento nel vestire».
Un atto di coraggio, lo definiamo noi. Innanzitutto per la forte italianità del messaggio contenuto in tutte le lavorazioni in maglia che le hanno permesso di realizzare su ogni pezzo («ho seguito ogni capo, a uno a uno») secondo i codici della maison, dalle giacche Bar alle gonne a pieghe: «Noi dovremmo essere più orgogliosi del nostro DNA delle nostre manifatture: sono la nostra forza».
Poi per l’allestimento: Women’s love is unpaid labor, l’amore delle donne è un lavoro sottopagato, We are all clitoridian women, siamo tutte donne clitoridee, Consent, consenso, sono tra le scritte al neon che dominano la sala allestita dal collettivo Claire Fontaine, un duo d’artisti francesi. E infine l’ispirazione: il pensiero femminista di Carla Lonzi, la scrittrice sostenitrice dell’autocoscienza e della diversità sessuale.
Esprimere tutto questo nel brand più parigino e borghese e chic è davvero incredibile. Ma I Say I, io dico io, sottolinea Chiuri, prendendo a prestito il titolo della mostra che Roma dedicherà proprio alla Lonzi (dal 23 marzo). E sulla semplificazione dei codici insiste: «Dopo tre anni e mezzo da Dior, potrò fare quello che mi sento. Non potrei mai disegnare una giacca che quando la indossi non ti permette di guidare l’auto o salire su di un bus». «La cosa che mi fa sempre sorridere quando leggo e rileggo il dizionario di monsieur Dior è che anche lui suggeriva il buon senso. Scriveva per esempio che se non hai abbastanza soldi per permetterti un grande guardaroba, meglio acquistare un abitino nero che puoi usare in qualsiasi occasione. Il buonsenso, già, forse bisogna usarne un po’ anche per cambiare gli stereotipi della creatività».
Ed è così che Maria Grazia Chiuri ha sentito, all’inizio, di rompere la silhouette Dior («mi sembrava limitante») e poi via via movimentarla per dare più libertà al corpo di essere. Ecco i nuovi tailleur cui sopra: davvero un capolavoro di forma e leggerezza. E altri codici Dior, come il check usato per il poncho o l’anorak. O i pois negli abiti scivolati tutti una costruzione in sbieco. E le frange, sì ancora, dopo New York e Milano: «Fanno parte di questo aspetto del movimento».
I tessuti tecnici domati dalla couture. O i gli accessori come gli anfibi di gomma sotto al tulle ricamato o plissettato. Le «tote», le shopping di cotone, nella versione di velluto. Un progetto infinito del femminile: «Il cambiando delle donne deve partire dal sé, che sia anche la consapevolezza nel scegliere un pezzo che dovrebbe fare parte di ciò che le rappresenta».
Alle sue spalle, nel mood board di riferimento gli esempi: Monica Vitti, Virna Lisa, Mina o Mila Schon. «Non ricordi mai chi le ha vestite, ma come si vestivano».