Il Messaggero, 25 febbraio 2020
Ricordo di Giambattista Bodoni, nato il 26 febbraio 1740
Immaginate una pagina sovraccarica di titoli, sottotitoli, stemmi, ghirigori grafici, interminabili ringraziamenti ai benigni Signori cui quella stessa pagina è destinata, e avvertimenti e note riassuntive. Immaginate, cioè, il frontespizio di un libro stampato tra la seconda metà del Quindicesimo secolo (epoca in cui furono inventati i caratteri mobili) e l’inizio del Diciottesimo, e mettetelo a confronto con la pagina che apre un volume uscito dalla finezza e dalla sapienza grafica di Giambattista Bodoni. È come se un’intera squadra addetta alle pulizie si fosse data da fare per spazzare e mettere ordine in un ufficio, in un appartamento, in un condominio. Il frontespizio che prima appariva soffocato da un’infinità di scritte e di segni grafici, ora ha l’aspetto di un ambiente sgombro, pulito, arioso. Il tipografo Bodoni è un talento artistico come soltanto l’Italia ha prodotto; anzi, è giusto definirlo artista sommo, perché nessuno come lui ha dato a una semplice lettera dell’alfabeto, la grazia, l’eleganza e la forza di un’opera d’arte.
GLI INIZI
Nato il 26 febbraio di 280 anni fa, a Saluzzo, in provincia di Cuneo, fu il padre, tipografo, a insegnargli i primi rudimenti del mestiere. Ben presto Giambattista si rese conto che in quell’angolo del Piemonte non avrebbe potuto mettere interamente a frutto il suo genio. Così, con il consenso del genitore, si recò a Roma, dove frequentò la grande tipografia della Congregazione per la Dottrina della Fede, dove aveva sede la Congregazione per la riforma dell’indice dei libri proibiti, ufficio ereditato dall’Inquisizione. Qui, sotto la guida del sovrintendente della tipografia, Costantino Ruggieri, perfezionò lo studio e la pratica dell’incisione e della composizione di alfabeti di lingue orientali.
Il Ruggieri, giurista, storico ed erudito bibliofilo, fu un buon maestro per il giovane Bodoni. Per questo, quando nel 1763, lui ventitreenne, Costantino Ruggieri si suicidò con un colpo di pistola alla gola, ne fu molto colpito, amareggiato al punto da decidere di lasciare Roma. Giambattista progettò di stabilirsi in Inghilterra, per continuare la sua attività di tipografo, e dove certamente avrebbe ricevuto consensi e onori. A fermarlo, costringendolo a rimanere in Italia, fu una malattia che dovette curare in casa dei genitori, a Saluzzo.
Guarito, abbandonò l’idea di stabilirsi nel Regno Unito, scegliendo il ducato di Parma come sua nuova destinazione. E fu quella la mossa vincente della sua vita, perché il duca di Parma, Ferdinando I di Borbone, valutata la sua abilità in campo tipografico, lo nominò direttore della tipografia reale. Fu così che Bodoni (anzi, è cavalier Bodoni che, da qui in poi, dobbiamo chiamarlo) si diede alla produzione di gioielli a stampa, come la celebre edizione dell’Oratio Dominica, uscita dai torchi nel 1806, come memoria del viaggio effettuato da Papa Pio VII a Parigi, per assistere all’incoronazione di Napoleone Bonaparte.
Finanziata da Eugenio Beauharnais, l’opera contiene la traduzione in centocinquanta lingue del Padre Nostro, vale a dire il più vasto catalogo di caratteri alfabetici realizzato fino a quella data. Bodoni ne incise di sua mano i punzoni e ne preparò tutte le matrici. Un incanto, questo libro (che non è l’unico creato dal genio del Cavalier Bodoni), per la successione dei caratteri più strani ed esotici, propri di lingue e culture di cui allora in Europa non si aveva idea.
L’ELOGIO
E si capisce perché il critico letterario Carlo Dionisotti è arrivato a scrivere così dello stampatore di Saluzzo: «Fra Sette e Ottocento, subito al di sotto di Canova, il rappresentante più noto e autorevole della contemporanea cultura italiana non è un letterato, non è Parini o Alfieri o Monti o Foscolo: è un tipografo, Bodoni».
Il più noto e autorevole, dice Dionisotti, e difatti Bodoni tra i suoi interlocutori appassionati di arte a stampa, ebbe uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America, Benjamin Franklin, con il quale tenne corrispondenza.
LO STILE
Il carattere inventato dal cavalier Bodoni, riconoscibilissimo a colpo d’occhio, per pulizia, eleganza e sobrietà, nel tempo suo rappresentò una vera e propria novità tipografica, dalla quale si può dire sono scaturiti i caratteri più moderni e vicini al nostro gusto. Lui era morto da cinque anni quando la vedova, Margherita Dall’Aglio, nel 1818 pubblicò il libro che contiene tutti i libri di Giambattista Bodoni, quel meraviglioso Manuale tipografico che incantò persino Firmin Didot, suo rivale nell’arte tipografica, e che avrebbe certamente incantato il grande tipografo britannico John Baskerville, morto nel 1775, anche lui in competizione con il maestro italiano.
Nella prefazione di questo straordinario catalogo, sono indicati i principi cui sempre si attenne l’autore: l’uniformità e regolarità del disegno, l’eleganza unita alla nitidezza, il buon gusto, l’incanto. Le sue opere, i suoi attrezzi, punzoni e matrici, sono vanto del Museo bodoniano, all’interno del monumentale Palazzo della Pilotta, a Parma.