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 2020  febbraio 25 Martedì calendario

Tennis, la parabola a lieto fine del sanremese Mager

Il festival del sanremese s’è celebrato nel carnevale di Rio. Nato a Sanremo 25 anni fa, Gianluca Mager non aveva mai varcato la soglia psicologica e tecnica dello sport che conta. Era una di quelle piccole cose, quasi gozzaniane, che il tennis spesso nasconde o addirittura protegge. E poi un giorno le sbatte in prima pagina. Al torneo di Rio, terra anticipata prima del cemento americano di Indian Wells e Miami, Gianluca ha capovolto i pronostici con un gioco d’autore di fronte al quale anche un colosso come Thiem, ai quarti, per un paio d’ore, s’è arreso. Da una parte brillava un tesoro a lungo sepolto e improvvisamente emerso dall’oblio, dall’altra un campione ridotto a fuscello rincorreva vincenti nella speranza di sporcarli e non di neutralizzarli: «Sport pazzesco!», ammette. In un solo torneo Gianluca ha riassunto il senso della propria esistenza agonistica, dando una spiegazione, prima di tutto a se stesso, del perché non ha mai deciso di smettere sul serio, anche se a 18 anni giocò soltanto tre tornei e se l’idea di mollare l’ebbe ed era pure seducente: «Da ragazzo pensavo soprattutto a divertirmi, a vivere. E per mia scelta il tennis s’era trasformato in un elemento secondario». Secondario ma scomodo. Tanto che se ne stava lì sotto il tappeto della vita quotidiana, questo suo tennis scomodo, come a voler sollevare interrogativi: non sarà che mi devi riscoprire? Mager gioca bene a tennis. È perseverante come Seppi, abbastanza potente di braccio, piuttosto rapido di gambe. Non ha la carta per stravolgere lo scambio, ma se per questo non ce l’aveva nemmeno Murray. I suoi colpi non sono decisivi: sono penetranti. Arrampicandosi sul tronco del torneo brasiliano a mani nude, ha schiacciato gli avversari, tra cui Ruud e Thiem, sino a cedere in finale contro il cileno Garin (lo stesso che lo scorso anno superò Berrettini nell’atto conclusivo a Monaco di Baviera). Nel recalcitrante ragazzo attratto dal piacere di vivere la propria giovinezza senza i paletti e i sacrifici dell’agonismo, sembra scattare qualcosa di cruciale nel 2016 quando aderisce al “Progetto Over 18” gestito da Umberto Rianna: «Batto Gabashvili nel challenger di Genova e mi rendo conto che forse il tennis poteva essere il mio futuro». In realtà non ancora. Arriva un’altra crisetta. Gianluca torna a casa. Sta per staccare la spina. Poi ragiona: «Dipende tutto da me», si disse. Non c’è nessuno all’infuori di lui che potesse conoscere il valore di una scelta. Si lega a un preparatore, Diego Silva. Nel 2018, con una condizione fisica mai avuta prima, riparte ma è n. 440 del mondo e non è più un ragazzino (23 anni). Intorno sente voci che non rassicurano: «Ormai è tardi, non è più un ragazzino, non arriverà mai». Previsione azzeccata. Due giorni fa era in posa accanto a Guga Kuerten con un piatto in mano: finale persa ma finale conquistata. Accanto ha Flavio Cipolla, Matteo Civarolo e la sua fidanzata, l’ex tennista Valentine Confaloneri. Ora Gianluca è n. 77, uno degli 8 italiani nella Top 100. E tutto per mantenere una vecchia promessa fatta a se stesso : «Non lascio e solo io so il perché...». È stanco: forfait a Santiago.