Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  febbraio 24 Lunedì calendario

Gli aiuti allo sviluppo aiutano pure i politici corrotti

Aiutiamoli a casa loro: facile a dirsi, ma gli aiuti allo sviluppo nei Paesi poveri che dovrebbero sostenere la crescita finiscono per alimentare la corruzione. Lo dimostra un nuovo studio su dati della Banca mondiale così imbarazzante che la Banca mondiale ha provato a farlo sparire. Ma dopo che il caso e’ diventato uno scandalo internazionale nella comunità degli economisti, la ricerca e’ stata finalmente pubblicata.
Bob Rijkers, un economista della Banca mondiale, e due accademici, Jorgen Juel Andersen (BI Norwegian Business School) e Niels Johannesen (University of Copenhagen), hanno applicato agli aiuti allo sviluppo un metodo di analisi già testato per studiare gli effetti della scoperta di giacimenti petroliferi. Quando viene scoperto un nuovo giacimento, si mette in moto una girandola di miliardi di dollari e si nota un aumento di versamenti dal Paese petrolifero verso i paradisi fiscali: tangenti e mazzette versati da aziende petrolifere a politici e mediatori locali. Lo stesso succede quando arrivano gli aiuti allo sviluppo.
Il paperdi Rijkers, Andersen e Johannesen studia un campione di 22 Paesi dipendenti dagli aiuti della Banca mondiale, che ricevono dall’istituzione di Washington più’ del 2 per cento del proprio Pil. Nei trimestri in cui avviene l’erogazione degli aiuti, si osserva un aumento dei versamenti nei paradisi fiscali da parte del Paese beneficiario. Per ogni 1 per cento di Pil di aiuti, i versamenti in posti come Lussemburgo o Isole Jersey salgono del 3,4 per cento. E non si può spiegare come un semplice effetto collaterale del fatto che nel Paese ci sono piu’ soldi, perche’ i depositi verso Stati esteri che non sono paradisi fiscali restano immutati.
Tradotto: una parte dei soldi della Banca mondiale finisce direttamente sui conti personali segreti dei politici corrotti. I tre economisti stimano che la perdita complessiva e’ pari al 7,5 per cento del totale. Ogni 100 dollari di aiuti allo sviluppo, insomma, 7,5 diventano mazzette depositate su conti offshore. I tre economisti incrociano dati della Banca mondiale con quelli della Banca per i regolamenti internazionali (Bis) che fornisce in aggregato i dati usi flussi finanziari, anche verso gli Stati più opachi che da qualche anno sono obbligati a un minimo di rendicontazione.
I Paesi che ricevono più soldi sono anche quelli peggio gestiti o nelle situazioni più’ compromesse, come l’Afghanistan, dove lo Stato e’ debole, l’economia quasi inesistente e la democrazia una promessa non mantenuta. Le implicazioni dello studio Rijkers, Andersen e Johannesen sono rilevanti: non soltanto la Banca mondiale spreca considerevoli somme di denaro versate dagli Stati membri, ma rischia di peggiorare i problemi che dovrebbe risolvere. Perché i politici corrotti locali che accumulano milioni sui propri conti esteri avranno risorse e potere per consolidare la propria posizione. E non hanno alcun interesse a far uscire il Paese dall’emergenza, perché’ questo comporterebbe una riduzione degli aiuti. E dunque delle stecche che loro incassano.
Alla Banca mondiale, come comprensibile, non sono stati entusiasti di leggere questa ricerca che, peraltro, non analizza aiuti allo sviluppo in generale, ma proprio quelli della Banca mondiale erogati tramite le sue due istituzioni principali, la Banca per la ricostruzione e lo sviluppo e la International Development Association. Risultati problematici soprattutto in un momento in cui l’amministrazione Trump cerca scuse per tagliare i contributi versati dagli Stati Uniti. Rijkers, Andersen e Johannesen hanno pronto il loro studio già a novembre 2019, ma non viene mai pubblicato. L’Economist, la scorsa settimana, ha messo in relazione le tensioni interne alla Banca mondiale su questa ricerca con le improvvise dimissioni del capo economista, Penny Goldberg. Dopo l’articolo dell’Economist che ha attirato l’attenzione sulla vicenda, uno dei tre economisti, Niels Johannesen della University of Copenhagen, ha pubblicato una bozza del paper sul suo sito personale. Poche ore dopo, miracolosamente, la versione finale e’ uscita anche nella collocazione a cui era destinata, cioè la sezione del sito della Banca mondiale dedicata alla ricerca.
La vicenda ha due morali. Primo: serve più’ ricerca sui reali impatti degli aiuti allo sviluppo, perché affidare milioni o miliardi a governi deboli e corrotti di Stati fragili rischia di alimentare i problemi che istituzioni come la Banca mondiale vorrebbero risolvere. Secondo: la ricerca e’ stata pubblicata soltanto perche’ due autori su tre lavoravano per universita’ e la Banca mondiale non può censurare i professori come invece può fare con i propri dipendenti (anche se puo’ sempre, per ritorsione, impedire loro di accedere ai propri dati, fondamentali per fare ricerca). A proposito di sprechi, a che serve dare milioni di dollari di budget per la ricerca a istituzioni come la Banca mondiale e il Fondo monetario se gli unici studi pubblicabili sono quelli che confermano quanto e’ bravo il management in carica?