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 2020  febbraio 24 Lunedì calendario

I dati mondiali dei morti in incidenti stradali

Non solo coronavirus. Una pandemia globale paragonabile alla malaria, la tubercolosi o l’Hiv dura da decenni e nel mondo miete 3.700 vittime ogni giorno. Sono gli incidenti stradali che causano un milione 350mila morti l’anno, soprattutto nei Paesi più poveri: nonostante qui circoli appena il 60% dei veicoli mondiali si conta il 93% delle vittime globali, a causa di infrastrutture inadeguate e dell’assenza di cultura della sicurezza. Il traffico ogni anno nel mondo causa anche 50 milioni di feriti. Mentre l’Italia, l’Unione Europea e alcuni Paesi sviluppati sono impegnati da anni a migliorare la sicurezza stradale, principale causa di morte tra i 5 e i 29 anni, e hanno già ottenuto grandi risultati, nei Paesi poveri invece il fenomeno continua a crescere e il rischio di morte per incidente è tre volte maggiore rispetto ai Paesi ad alto reddito. La questione è stata al centro della terza Conferenza ministeriale globale sulla sicurezza stradale organizzata dall’Onu e dall’Organizzazione mondiale per la sanità, che ha riunito in Svezia dal 19 al 20 febbraio oltre 1.700 partecipanti di 140 Stati e si è chiusa con la Dichiarazione di Stoccolma sui nuovi obiettivi per il 2030.
Sebbene l’Unione Europea sia l’area con le strade più sicure al mondo, il dato non è omogeneo tra tutti i suoi Paesi. La Ue conta in media 49 morti per incidenti stradali ogni milione di abitanti, contro 93 morti per milione di abitanti nel Vecchio Continente, 106 negli Usa e 174 nel mondo, ma il valore supera i 200 in Russia e i 250 in Africa. Nel 2018, l’ultimo anno per il quale sono disponibili le statistiche comparate più aggiornate, lungo le strade della Ue sono morte per incidente stradale 25.100 persone, mentre un milione sono rimaste ferite, con un calo del 2% delle vittime rispetto all’anno precedente. Grazie alle regole europee e nazionali, il numero di incidenti mortali è diminuito del 43% dal 2001 al 2010 e di un altro 21% tra il 2010 e il 2018. Nell’Unione dunque nel 2018 sono morte per incidente 6.400 persone in meno rispetto al 2010. Due anni fa i Paesi europei con il minor numero di morti su strada per milione di abitanti sono stati Regno Unito (28), Danimarca (30), Irlanda e Olanda (31) e Svezia (32). L’Italia si è situata a quota 55, mentre i Paesi più pericolosi sono stati la Romania (96), la Bulgaria (88) e Lettonia (78). Tra il 2010 e il 2018 nella Ue c’è stato un calo di 21 vittime all’anno ogni milione di abitati, con il miglioramento maggiore in Grecia (-45) e il peggioramento più grave a Malta (+38), mentre l’Italia ha fatto segnare 20 morti in meno ogni milione di cittadini.
Tra le vittime di incidenti stradali nella Ue il 46% è rappresentato da conducenti e passeggeri di auto, il 21% da pedoni, seguiti da un 15% di motociclisti, 8% di ciclisti e un 3% di guidatori di motorini. Il restante 7% sono camionisti e altri conducenti. Tre quarti delle vittime sono maschi. Nello stesso 2018, l’Italia ha registrato 3.325 vittime, in calo dell’1,6% rispetto ai 3.378 morti del 2017. Dal 2000 il numero delle vittime è calato del 56%. Il dato italiano è di sei incidenti mortali ogni 100mila veicoli immatricolati, con un calo del 60% rispetto ai 16 del 2000. Il 43% delle vittime della strada italiane erano in auto, il 21% motociclisti, il 18% pedoni e il 7% ciclisti. Velocità eccessiva, abuso di alcol e droghe e distrazione per il cellulare sono nell’ordine le principali cause di morte. Le strade di campagna sono le più letali, con il 48% dei morti del 2018, in città c’è stato il 42% delle vittime e il 10% in autostrada.
Mentre la riduzione media del numero di vittime della strada tra il 2010 e il 2018 era del 19,2%, il numero dei morti per incidenti stradali è diminuito del 51% per la fascia d’età 0-14, del 50% per quella 15-17 e del 34% per le fasce di età 18-20. La riduzione delle morti su strada sperimentate dalla popolazione più giovane è in parte spiegata da un cambiamento nella struttura demografica della popolazione e dall’uso inferiore di ciclomotori. Tuttavia, i giovani nel 2018 restavano la fascia d’età a più alto rischio nel traffico, con un tasso di mortalità molto superiore alla media, pari a 95 vittime l’anno per milione tra 18 e 20 anni e a 77 l’anno per milione dai 21 ai 24 anni. Anche gli anziani corrono un rischio altrettanto elevato: sopra i 75 anni hanno un tasso di mortalità per incidente di 92 vittime ogni milione di abitanti. La sicurezza stradale degli anziani sarà un problema significativo per l’Italia nei decenni a venire a causa dell’invecchiamento della popolazione.
Non mancano i risvolti economici. Secondo uno studio della Banca Mondiale su decessi e indicatori economici di 135 Paesi, se gli incidenti stradali fossero ridotti della metà il Pil pro capite dei Paesi più poveri, a parità di altri fattori, in 18 anni crescerebbe tra il 15% e il 22% in più grazie all’aumento della produttività. Se le vittime della strada fossero dimezzate il Pil pro capite del 2038 aumenterebbe del 22% in Thailandia, del 15% in Cina, del 14% in India, del 7% nelle Filippine e in Tanzania. La sicurezza stradale costa una riduzione del 3% circa della crescita del Pil pro capite annuo nei Paesi a reddito medio e basso. Anche l’Italia non è immune ai costi di questa strage: secondo le stime del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, nel 2018 il costo degli incidenti stradali che hanno causato morti e feriti è stato di 18,6 miliardi, pari all’1,1% del Pil nazionale. Eppure la Banca Mondiale, basandosi su analisi assicurative sanitarie e di gestione dei rischi, stima che lungo un periodo di 24 anni i Paesi sarebbero disposti a investire tra il 6% e il 32% dei rispettivi Pil per ridurre la mortalità e le conseguenze del traffico.
Ma l’impatto diretto delle vittime della strada sulle economie nazionali, misurato dalla contabilità macroeconomica dei Paesi, è solo una parte del costo finale. I danni individuali e sociali sono ben più rilevanti. Per ogni morto ci sono almeno cinque persone che subiscono invalidità e inabilità permanenti, mentre è incalcolabile il numero di quelle temporanee, con il corollario di cure sanitarie e delle necessità di sostegno a lungo termine. È invece senza prezzo, perché nessuno sarà mai in grado di quantificarlo, il carico immane di sofferenze psicologiche personali e familiari che travolgono le relazioni e devastano per sempre l’esistenza delle persone.