Il Messaggero, 24 febbraio 2020
Sul docufilm Marianne & Leonard
Non è tutto amore quel che luccica nel docufilm Marianne & Leonard, eppure il sottotitolo Parole d’amore indirizza a credere nell’inossidabilità del sentimento che legò l’artista canadese Leonard Cohen alla norvegese Marianne Ihlen dal 1960 al 2016, quando se ne andarono da questo mondo a distanza di pochi mesi e molti chilometri. Dopo l’anteprima al Sundance Film Festival, arriva nelle sale del circuito Nexo Digital il 3 e 4 marzo, per la regia di Nick Broomfield, che di lei fu amante in gioventù.
FUGA DALLE REGOLELeonard, ventiseienne con baffi e coppola, Marianne coetanea già con un figlio di sette anni, entrambi in fuga dalle regole per abbracciare il totem della controcultura, si incontrarono nell’isola greca di Idra, mecca di artisti in quei rivoluzionari ’60. «Ero la musa greca che stava ai suoi piedi» ammette la donna ed è questa la posizione che le assegna anche il documentario. Fu lei a tenere insieme i pezzi di Cohen che, sulla terrazza del Mar Egeo, si disintegrava nella scrittura febbrile del romanzo Belli e perdenti. Fu lei che ispirò brani splendidi come Hey That’s No Way to Say Goodbye, Bird on a Wire e So Long Marianne, l’addio da allora destinato a ripetersi ogni sera sul palco, ma il protagonista assoluto è il gigante della parola in musica, che lasciò l’isola idilliaca per la scena convulsamente creativa di New York.
Cohen scriveva canzoni che non voleva assolutamente cantare, poi tirò fuori la voce una sera del 1967, a metà di Suzanne abbandonò il microfono per la paura, il pubblico lo reclamò, e avvenne la definitiva conversione a cantautore. Chiese a Marianne, lasciata in Grecia, di raggiungerlo, pentendosene quasi subito. La relazione non resse il peso della quotidianità fuori dal paradiso greco. Cohen si divideva fra la casa con lei e il Chelsea Hotel, frequentava Janis Joplin e decine di altre, come lui stesso racconta: «I miei appetiti sessuali coincisero con un periodo fenomenale che mi permise di soddisfarli».
D’altronde i poeti danno più rilevanza all’esplorazione che alla fedeltà, si assicurano spesso di fare la cosa sbagliata purché sia rilevante, sono creature elusive e non appartengono a nessuno. Lo testimonia Marianne stessa, con la voce ancora rotta anni dopo la frattura: «Il mio amore per lui mi distrusse. Ero sul punto di ammazzarmi». L’originalità del docufilm sta proprio nelle discrepanze fra ideale e reale. Davanti alla narrazione così potentemente sentimentale della loro unione, forse passerà in secondo piano il coraggio del regista nell’affrontare gli effetti collaterali della controcultura.
I DANNIAlcuni ex abitanti di Idra elencano in video i danni irreparabili che quella irresponsabile libertà provocò: suicidi, morti per overdose, follia, coppie e figli guastati, compreso quello di Marianne, Axel, finito negli istituti psichiatrici. Nel documentario abbondano i filmati d’archivio e brani che rendono il cielo fiero dell’opera umana. C’è Cohen che nuota nudo in piscina, guida il trambusto psichedelico dell’Isola di Wight nel 1970, fa concerti nei manicomi, si sballa di acidi, avanza a carponi nel buio, consumato dalla depressione e dalle tante donne eterne per qualche ora, incontra un Phil Spector fuori controllo fra alcol e revolver, concepisce la gloriosa Hallelujah, si chiude per anni in un monastero buddista «per riconciliare il bene e il male», scopre di essere al verde dopo la truffa della sua manager, ritorna in tour nel 2009.
Al concerto di Oslo Marianne, con la sua famiglia, è lì che canta in prima fila. È uno dei pochi momenti in cui lei e Leonard si vedono vicini. Per il resto, sono insieme solo nelle foto in bianco e nero, le loro voci si rincorrono sulle immagini ricordando gli otto anni passati insieme, poi ognuno per la sua strada, restando sempre in contatto. Lei tornò in Norvegia, si sposò, scelse una vita normale, da segretaria. Tenne un basso profilo anche con la stampa, perciò risulta invadente il momento da reality tv che tuttavia è anche il più atteso del film. Marianne intubata in ospedale chiede di far sapere a Cohen che sta per morire e poco dopo riceve la sua risposta: «Carissima Marianne, sono abbastanza vicino da prenderti la mano. Fai buon viaggio amica mia. Ci vediamo in fondo alla strada». Ossigeno per gli animi più romantici, o per quelli poetici, che elogiano il sacrificio consensuale delle muse, se produce arte in grado di commuovere i cuori dell’avvenire.