la Repubblica, 24 febbraio 2020
La speculazione sulle mascherine
Se la signora giapponese non mi avesse lanciato quell’occhiataccia, forse le cose non sarebbero andate così. Eravamo sul volo Firenze-Catania e lei era seduta sulla mia stessa fila, due posti più in là. Indossava la mascherina, come fa a Tokyo chiunque abbia il raffreddore, e cercava di avvistare l’Etna dal suo finestrino. Ma poi io ho starnutito. E anche se mi ero coperto precipitosamente il viso con il fazzoletto, lei si è girata di scatto. Non ha detto una parola, ma quello sguardo gelido, quel muto rimprovero, mi ha definitivamente convinto: dovevo comprare subito una mascherina, per il viaggio di ritorno.
Confesso di aver sempre creduto che quella dei giapponesi fosse una precauzione davvero eccessiva, prima di scoprire – grazie a un prezioso libro di Laura Spinney, L’influenza spagnola — che quell’abitudine nacque esattamente un secolo fa. Quando il virus senza cure provocò la più grande ondata di morte dal tempo della peste nera, il Giappone fu l’unico Paese a raccomandare a tutti i suoi abitanti di coprirsi naso e bocca se uscivano di casa. Precauzione che fu presa anche da alcune città americane – dove il tasso di mortalità fu abbattuto fino al 50 per cento – ma solo l’impero del Sol Levante ne fece una regola (che i giapponesi rispettarono con disciplina militare, come hanno imparato a fare dopo essere stati governati per quasi sette secoli dagli Shogun).
L’Italia però dista diecimila chilometri dal Giappone, non solo geograficamente. Nei telegiornali di quella sera – siamo a metà febbraio – gli esperti ripetono che le mascherine servono a poche persone. E il coronavirus sembra ancora lontano: ci sono solo due cinesi ben isolati allo Spallanzani. Eppure, quando entro in una farmacia, scopro che sono arrivato tardi. «Mascherine? Finite, mi dispiace» mi dice la dottoressa. Vado in un’altra farmacia: «Esaurite». Ma si possono ordinare? «No, anche i grossisti sono senza».
Capisco che è inutile girare a caso. Cerco i numeri di tutte le farmacie della zona e comincio a telefonare. «Ho venduto ieri l’ultimo scatolone». «Mi lasci guardare. No, non ce ne sono più». Una signora, gentile, mi dà un numero: «Provi qui». Chiamo: «Sì, ne abbiamo una decina. Vengono un euro l’una». Scusi, ma non costavano dieci centesimi? «Noi le vendiamo a un euro». Ma sono quelle con gli elastici? «No, queste vanno allacciate». Provo a immaginarmi mentre tento di fare due nodi dietro la nuca e lascio perdere. Sto per arrendermi quando passo davanti a una parafarmacia. Clamoroso: ne hanno addirittura dei pacchi, «Sono 50 mascherine, dieci euro». Ringrazio, quasi incredulo. Il farmacista ricambia con una dritta: «Questa mascherina, che noi chiamiamo chirurgica, serve per proteggere chi le sta intorno. Ma se vuole difendersi dal contagio deve cercare un’altra mascherina: si chiama FFP3». E lei non ce l’ha? «No, quelle si trovano dal ferramenta».
Le mascherine antivirus dal ferramenta? Il motivo lo scopro su Google: FFP è l’acronimo di Filtering Face Piece. Sono mascherine speciali, monouso, obbligatorie nei luoghi di lavoro dove si superano i valori-limite di polveri, fumi e nebbie di liquidi. Aderiscono al volto con una guarnizione e fanno passare l’aria attraverso un filtro. Ce ne sono di tre tipi, ma solo uno – l’FFP3, usato soprattutto nell’industria chimica – blocca anche le sostanze cancerogene o radioattive e i microrganismi patogeni. Come il coronavirus.
E infatti la sera, guardando il telegiornale, mi accorgo che i rari cinesi nelle strade di Wuhan indossano queste strane mascherine, con il filtro che sembra un bottone colorato davanti alla bocca. Può servire anche a me? Non si sa mai, meglio avercela. Magari queste ancora si trovano, mi dico.
Macché. Il giro dei ferramenta finisce come quello delle farmacie. Esaurite. Vendute. Finite. Provo con i negozi di vernici. La risposta è sempre la stessa. No problem, penso: le ordino sul web. Le trovo sul sito di Leroy Merlin: due mascherine 4 euro e 90. Vai! Ma quando compilo l’ordine di appare la scritta: «Non disponibile». Provo con Bricoman. Kit di tre mascherine a 2 euro e 20 l’una. Perfetto. Poi leggo le due parole accanto alla foto: «A breve».
Allora mi ricordo che ci sono tre indirizzi dove si trova sempre tutto, o quasi: Amazon, Ebay e Subito. Le mascherine ci sono, ma non al prezzo di listino. Su Amazon si parte da 7 euro, 11 euro se vuoi riceverle subito. Su Ebay poi c’è l’assalto degli speculatori. Un venditore inglese del West Yorkshire chiede 91,59 sterline a pezzo (914 se ne prendi 10). Un commerciante tedesco di Bochum le offre al modico prezzo di 59,90 euro l’una. Un utente di Brescia chiede 400 euro per dieci mascherine, più la spedizione però. Su Subito un certo Luca, da Napoli, tenta il colpaccio: 500 euro per una mascherina. «Nuova, in confezione». Ci mancava pure che fosse usata. Alla fine mi viene in mente il consorzio agrario. Magari, chissà. Chiedo, senza troppe speranze, e quello mi spiazza: «Ma certo, le FFP3. Un euro e 90. Quante ne vuole?». Pagando, gli domando se lo sa, che qualcuno le vende a prezzi molto, molto più alti. «Certo che lo so», mi risponde. «Ma noi non speculiamo sulla salute».
Così sono ripartito con quello che cercavo. Forse finirò lo stesso in ospedale, ma ci arriverò – questo è sicuro – con la mia mascherina.