Il Messaggero, 23 febbraio 2020
Una nuova biografia di Margaret Thatcher
Margaret Thatcher, prima donna del Regno Unito nominata premier dopo ben tre vittorie elettorali dei Conservatori, non si aspettava una caduta repentina. Nella primavera 1989 aveva 63 anni ed era al potere da dieci. Aveva liberato le energie di una nazione, rimesso in piedi l’economia britannica, governato l’inflazione, schizzata prima di lei al 17 per cento, ridotto la disoccupazione dal 13 al 7 per cento, tenuto testa ai sindacati, agli scioperi dei minatori, smantellato la sinistra radicale, privatizzato l’industria dell’auto che consumava ogni anno 200 milioni di sterline di sussidi di stato e la British Telecom che impiegava sei mesi per installare un telefono.
LA GUERRA
Aveva vinto la guerra delle Falklands contro l’Argentina, segnato la fine della guerra fredda sostenendo Lech Walesa e Gorbaciov, ed era pure diventata nonna. «We are grandmother» annunciò con il nipotino in braccio in una foto che avrebbe provocato i lazzi dei media. Ma di ritirarsi non ne voleva proprio sapere. Il marito, che in quella foto non compare, sentiva che era sempre più stanca e iniziava a perdere colpi: «Perché non ti dimetti?», le disse immaginando un graceful exit. Lei lo stette a sentire, consultò i suoi fedelissimi, e alla fine decise di continuare fino alle elezioni, per brigare un quarto mandato. «Beh, forse ce la caveremo per un pelo», le rispose scettico il marito. Fu l’inizio della fine.
Nel novembre 1990, Margaret Thatcher perse la segreteria del partito per una cospirazione interna, scoppiata mentre negoziava a Parigi con Bush e Gorbaciov, e dovette abbandonare Downing Street. Aveva regnato undici anni e mezzo, record di longevità per un premier e per un premier donna, per niente femminista e in guerra contro il club ultramisogino di politici e statisti. Così per lei iniziò il tramonto e un lento declino, che fra viaggi all’estero e demenza senile si protrasse fino al 2013. Nel 1997 la Thatcher scelse l’ex-direttore dello Spectator e del Sunday Telegraph, Charles Moore, per fargli scrivere la sua biografia. Lei stessa non ne avrebbe letto il manoscritto e stabilì che il libro doveva uscire postumo. Il primo volume, sugli anni che vanno dalla nascita alle Falklands, uscì nel 2015; il secondo, dal 1982 alle elezioni del 1987, nel 2016; e l’anno scorso è uscito il terzo sul ritorno a se stessa negli ultimi 26 anni di vita.
L’OPERA
Quest’opera monumentale di tremila pagine è una miniera di documenti, carte personali, minute di governo, testimonianze dirette, interviste, aneddoti, pettegolezzi e retroscena urticanti. La Thatcher governava studiando le carte fino a notte fonda, glossando ogni documento (in tutto quasi un milione) con la stilo blu, commentando, annotando con punti esclamativi e lettere cubitali. Ma maneggiava bene anche il bullismo, grazie all’asprezza di carattere, al culto intransigente della verità e alla fede messianica nel suo ruolo. La figlia del droghiere di Grantham, col pallino dell’ascensione sociale, vedeva la politica non come un gioco, ma come una missione da perseguire anche a costo di crudeltà.
«Era una personalità, troppo potente per intavolare una discussione razionale», e infatti bullizzava i ministri come Geoffrey Howe, il mite europeista che si dimise lasciandola nelle peste. E umiliava gli alleati. «Non è meravigliosa?» diceva divertito Ronald Reagan alla Casa Bianca, tendendo il telefono perché tutti ne apprezzassero la foga. Meno sensibile George H. Bush, che spesso le ricordò il suo rango, mentre Lord Carrington minacciava di andarsene se «this fucking stupid petit- bourgeois woman» gli avesse creato altri problemi, il liberale Giscard d’Estaing l’equiparava a una vecchia tata petulante, il socialista Mitterrand ne spalleggiava la resistenza alla riunificazione tedesca, e il cancelliere Kohl la inchiodò agli albionici sogni di gloria.