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 2020  febbraio 23 Domenica calendario

L’Uomo sbagliato di Leonardo

L’Uomo vitruviano è ritornato a casa. Già da diverse settimane è rientrato all’Accademia di Venezia dopo gli onori riservatigli dalla mostra su Leonardo da Vinci organizzata dal Louvre e che termina domani. Parigi, infatti, non ha trattato il disegno come un disegno, ma – unica opera su carta dell’esposizione – l’ha protetta da cordoni e piantane, elevandola così al rango dei dipinti. Certo: tale accoglienza era doverosa vista l’eccezionalità del prestito. Ma tenere i visitatori a mezzo metro da un disegno alto poco più di trenta centimetri è una scelta discutibile visto che la distanza annebbia i dettagli, e l’ Uomo vitruviano è un’opera che prende vita solo se studiata nel dettaglio. 
Cominciamo dal titolo, fuorviante. Contrariamente a quanto si crede, Leonardo non illustrò le proporzioni umane come Vitruvio descrisse nel suo trattato in latino (una lingua che Leonardo non leggeva e un testo che, come Francesco Paolo di Teodoro ha ricordato su questo giornale lo scorso aprile, non avrebbe potuto procurarsi se non corrotto). La prova del divario è nelle stesse proporzioni. Mentre Leonardo rappresenta il piede come un settimo dell’altezza, Vitruvio lo definì come un sesto. Per sottolinearne lo scarto, Leonardo lo mise pure per iscritto nelle righe sotto al disegno: «Il piè fia la sectima parte dell’omo».
Il titolo attuale, poi, non è che recente. Fu coniato negli anni Venti del secolo scorso al Warburg Institute, un importante centro di ricerca sul Rinascimento, e venne poi popolarizzato da un suo studioso, Rudolf Wittkower, in quello che divenne il suo libro più celebre, Principi architettonici nell’età dell’Umanesimo (1949). Da allora, il disegno è sempre stato visto come un’illustrazione vitruviana, dimenticandosi che quella di Wittkower non era che un’interpretazione e che tanti storici prima di lui – tutti quelli che si erano occupati del disegno, infatti – avevano sì notato la menzione di Vitruvio nell’angolo in alto a destra del disegno, ma non vi avevano dato peso visto che le proporzioni, nonché il passaggio che ho ricordato, ne sconfessavano così palesemente la derivazione.
Proviamo allora a fare qualcosa che non è mai stato fatto prima. Proviamo a cancellare il blocco di testo sopra al disegno, l’unico che menziona Vitruvio. Ora tutto combacia: il disegno è la perfetta illustrazione del testo in basso, il solo dove Leonardo elenca le proporzioni che ha raffigurato. Potete leggere il testo come la descrizione del disegno o potete cercare nel disegno i rapporti elencati nel testo. Non importa: fra immagine e parole c’è una relazione perfetta. Ed è fra loro che Leonardo inserisce la scala metrica (per verificare la coerenza delle proporzioni) nonché una citazione dalla Naturalis historia di Plinio, in centro pagina, come fosse un titolo: «Tanto apre l’omo nele braccia, quanto ella sua altezza».
La Naturalis historia era uno dei cinque libri che Leonardo dichiarò di possedere nel 1490, grosso modo l’anno in cui l’Uomo vitruviano vide la luce. E Leonardo non aveva problemi a capire Plinio visto che, a differenza di Vitruvio, era stato tradotto in italiano qualche anno prima.
Ma, come rivela la citazione-titolo scelta da Leonardo, Plinio scrive che il corpo umano è inscritto in un quadrato, non in un cerchio. E Leonardo, infatti, evidenzia i rapporti solo nel corpo iscritto nel quadrato: le braccia alzate o le gambe divaricate non sono intersecate da nessuno dei segmenti proporzionali. E allora, visto che Plinio non menziona il cerchio, eliminiamo pure quello dal disegno, nonché gli arti che contiene. So che sembrerà scandaloso eliminarli visto che siamo soliti pensare all’Uomo vitruviano come a una circonferenza: è così che gli euro ci invitano a guardarlo. Eppure non è il cerchio a essere servito da punto di partenza per costruire quella che molti studiosi considerano la copertina del trattato (perduto) di Leonardo sulle proporzioni e i movimenti del corpo umano. E lo si capisce guardando con cura il foglio, scoprendo che ha una messa in pagina fatta da due righe sottilissime che delimitano i bordi del testo e prolungano i lati del quadrato. Solo in un secondo momento Leonardo aggiunse la circonferenza. Qualcuno (e abbiamo anche idea di chi possa essere stato) dovette ricordargli che per Vitruvio l’uomo era iscritto pure in un cerchio, ed ecco che Leonardo prese il compasso e lo puntò nell’ombelico, aprendolo fino alle dita dei piedi piantati per terra.
Ma Leonardo aveva già disegnato il quadrato! Prese quindi i due punti più elevati in cui cerchio e quadrato s’intersecano e da lì fece partire un nuovo paio di braccia. Disegnò prima le dita, poi saldò le braccia al torso. Nella spalla sinistra si nota pure il punto in cui Leonardo ha intersecato il profilo del braccio col resto del corpo, compromettendo così quella che è una delle cifre stilistiche del disegno. L’Uomo vitruviano è infatti delimitato da una linea continua, tracciata da una penna che sembra non essersi mai staccata dal foglio e che solo in quel punto s’interrompe.
Leonardo appuntò poi nella parte in alto del foglio tutto ciò che aveva aggiunto (il cerchio, l’ispirazione vitruviana) ma era a corto di spazio, come s’intuisce dalla grafia affrettata delle ultime parole. Importava poco: da copertina il foglio era stato declassato a pagina di appunti. L’aggiunta delle braccia aveva infatti pregiudicato la validità del disegno. Contrariamente a quanto si crede infatti, l’Uomo vitruviano non è perfetto: le braccia alzate sono più lunghe di quelle orizzontali (il che è palese visto che seguono una circonferenza che fa perno nell’ombelico invece che nelle spalle).
Ci sarebbe altro da notare (c’è sempre altro: studiare la storia dell’arte è come tuffarsi nel mare e scoprirsi circondati dall’acqua), ma per quello si piega il giornale e si va a studiare l’opera da vicino, sperando che venga presto attuata la decisione del direttore dell’Accademia di Venezia, Giulio Manieri Elia, di esporre l’Uomo vitruviano una volta ogni anno.
L’annuncio è di quelli che vale la pena pubblicizzare non solo perché, al momento, il disegno riemerge dai depositi ogni lustro, ma anche perché l’iniziativa prevede una piattaforma multimediale che permetterà di riscoprire la storia dell’arrivo dell’opera a Venezia nonché i tanti dettagli di questo affascinante disegno che viene spesso trascurato anche quando viene esposto.