Il Sole 24 Ore, 23 febbraio 2020
Quaggiù non c’è più niente da scoprire
Il disegno più antico della storia di Homo sapiens sapiens, una serie di segni astratti in ocra su pietra, risale a 73mila anni fa e si trova nell’estremo Sud Africa a Blombos, all’interno di una grotta che si affaccia sul mare, laddove le acque degli oceani Indiano e Atlantico si fondono: l’uomo era dunque arrivato fino a un punto oltre il quale non v’era più un oltre verso cui spingersi, se non con la forza dell’immaginazione. Noi, ultimi discendenti di quei primordiali esploratori, ci troviamo in una condizione simile: non c’è più nulla da scoprire su questo pianeta; anche noi dovremo compiere uno sforzo di immaginazione, guardare a un oltre possibile.
In questa nuova prospettiva, che ruolo svolge la geografia? Matteo Meschiari, nel saggio Neogeografia. Per un nuovo immaginario terrestre, affronta un tema che è un’emergenza culturale ineludibile: «La geografia è morta. È morta con l’era delle grandi esplorazioni. Cook, Franklin, Speke, Burton, Nansen, Scott, Shackleton. Sono loro che hanno fatto la stagione eroica delle scoperte geografiche. Poi sono arrivati i satelliti e adesso c’è Google Earth. Apollo 11, Voyager e Insight sono la traccia definitiva di una resa terrestre».
Oggi i geografi hanno ceduto il campo agli antropologi e ai sociologi, e la stessa geografia, disciplina la cui etimologia rinvia alla «descrizione della terra» – da sempre un atto di colonialismo insieme culturale ed economico -, deve ripensare la propria vocazione: «La geografia si occupa essenzialmente di immaginario, ciò che conta davvero in una mappa è proprio ciò che manca. Chi non capisce questo dato elementare ha frainteso la vocazione primaria della geografia, della cartografia, delle esplorazioni: spostare l’immaginario, spostarci con esso».
La neogeografia si assume, ora, questo compito difficile e importante: creare un collegamento culturale tra il landscape (il paesaggio) e il mindscape (paesaggio mentale); fornire una visione; aiutare l’umanità disattenta a guardare con occhi nuovi il pianeta che abita e che sempre più velocemente sta morendo. Basterebbe ripartire dall’osservazione del celebre Passaggio a Nord-Ovest, un tempo landa impraticabile di ghiacci eterni, mito geografico, oggi ridotto a immenso arcipelago in drammatica trasformazione a causa del surriscaldamento globale, popolato da orde di turisti low cost.
Meschiari ci invita dunque a compiere un esercizio affascinante: imparare a leggere il paesaggio intorno a noi, reinventarlo, attraverso la lente di diversi sguardi letterari. E così viaggiamo per mare, in pieno Medioevo, grazie alla Navigazione di San Brandano, aggirando isole meravigliose e spaventose e lasciandoci inghiottire da mari tempestosi. Ci troviamo, curiosi e impauriti, a bordo della nave di Cartier, autore dei Voyages (1542), alla scoperta del Labrador nel Nuovo Mondo. Viaggiamo all’interno dell’India con Moravia e Pasolini, per scoprire come il migliore esorcismo culturale contro il terrore dell’ignoto sia ricondurre il paesaggio esotico ad analoghi paesaggi nostrani.
Portare altrove la patria e, una volta là, riscoprirla nuova e diversa, più profonda, è un atto cognitivo fondamentale di sapiens sapiens, che nel colonizzare nuovi territori, ha sempre scelto quelli morfologicamente ed ecologicamente a lui più familiari. Rendersi familiare lo Straniero, ma anche familiarizzare con lo Straniero che è dentro di noi: questa è l’essenza di ogni esplorazione.