Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  febbraio 23 Domenica calendario

A tavola con il cardinale Gualtiero Bassetti

«La mia famiglia era così povera che, quando nevicava, ci svegliavamo con una spolverata di bianco sopra le coperte. I tetti delle case erano formati da tegole di pietra non allineate. Mio padre Arrigo era un bracciante agricolo, fra i pochissimi, nella frazione di Fantino, a votare per il Partito Popolare. Gli altri erano tutti per il Partito Comunista. Mia madre Flora era una casalinga».
A Gualtiero Bassetti, cardinale, sono capitate in sorte – o per provvidenza, lo giudichi il lettore – tante vite. Un parroco chiamato don Giovanni Cavini, amico ed emulo di don Milani, lo ha fatto studiare sottraendolo, all’età di dieci anni, all’apprendistato come meccanico nell’officina ciclistica del paese. A Firenze ha conosciuto ed è stato discepolo di Giorgio La Pira, una delle grandi anime dell’Italia – tutta l’Italia, sia cattolica sia laica – del Novecento. In quella Firenze, La Pira aveva istituito nella chiesa di San Procolo la messa con i poveri, e padre David Maria Turoldo diceva nella basilica della Santissima Annunziata la messa per i poveri: entrambi rompevano il perbenismo classista della società del tempo mescolando – anche fisicamente – i benestanti e i derelitti, i borghesi e i senzatetto. Bassetti è diventato prete e, adesso, è il presidente della Conferenza episcopale italiana, l’organismo che raduna i vescovi, in uno dei passaggi più complessi per la Chiesa, percorsa da tensioni e da spinte contro e a favore di papa Bergoglio. 
Quest’oggi, a Bari, si tiene l’ultima giornata dell’incontro Mediterraneo frontiera di pace, a cui partecipa papa Francesco, al culmine di un convegno durato tre giorni che ha uno dei suoi naturali riferimenti culturali in Giorgio La Pira. Quel La Pira che ha interpretato l’essenza del Mare Nostrum con la metafora del lago di Tiberiade su cui si affaccia la triplice famiglia di Abramo: ricomposizione delle lacerazioni fra Ebraismo, Cristianesimo e Islam, unione e desiderio di incontro con gli altri, ricerca di una simbiosi fra mente e cuore.
È ormai passato qualche giorno dal nostro incontro, nel palazzo arcivescovile di Perugia, sulla cima della collina da cui si vede tutto fino ad Assisi: la meraviglia dell’Italia centrale con il suo connubio di natura e di arte, la fontana di Nicola Pisano capolavoro del Duecento, in ogni pietra una storia, in ogni chiesa un dipinto del Cinquecento se non più antico, in ogni angolo qualcosa di buono da mangiare – sotto il palazzo una bottega di cioccolato, Perugia è l’unica città italiana in grado di competere con Torino in questo, con un prodotto meno altero ma semplice e raffinato – e da bere.
Sulla tavola apparecchiata con sobrietà, il vino è del lambrusco. All’una esatta, prima di metterci a tavola, Bassetti, che ha una sorella (Licia, ora in pensione, che è stata contabile nell’azienda del marito) e un fratello (Raffaele, ceramista), si sofferma sulle radici personali: «Sono nato nel 1942. Nelle mie campagne e sui miei Appennini, durante la Seconda guerra mondiale passava la Linea gotica. Qualche volta sogno ancora i bombardamenti. Un giorno guardavamo le bombe cadere in lontananza: avevo due anni, ero terrorizzato. Un contadino mi diede un ombrellino rosso per distogliere lo sguardo e per sentirmi protetto. Ancora adesso, quando ho paura, per prendere coraggio mi viene da pensare a quell’ombrellino rosso. Gli scontri fra partigiani e tedeschi erano furiosi; Kesselring aveva dato l’ordine di fucilare dieci civili per ogni soldato ucciso. A Crespino, una frazione di Marradi ancora più in alto sull’Appennino, i tedeschi ammazzarono quarantaquattro italiani. Anche per questo alle elementari, nella mia classe, su venti bimbi diciassette erano orfani. Erano tempi di grande tristezza».
Il pane sulla tavola è senza sale. Sottolinea il cardinale: «Assomiglia al pane sciapo. In questa parte dell’Umbria, la cultura storica e materiale toscana ha molta influenza. Non a caso io sono arcivescovo di Perugia, che faceva parte dell’antica Tuscia (benché il territorio della diocesi si estenda anche al di là del Tevere). Perusia, come mi piace ancora chiamarla, è, anche per sua natura geografica, una terra di confine, a volte di conflitto ma spesso di raccordo, pur essendo sempre stata orgogliosa della propria autonomia. L’epoca comunale, cui appartiene anche la Fontana maggiore, fu il periodo di massima fioritura, ma sul finire del Quattrocento degenerò in lotte fratricide tra famiglie oligarchiche. La perdita definitiva dell’autonomia con una stretta dello Stato della Chiesa, a metà Cinquecento (la cosiddetta guerra del sale, ossia la rivolta contro una nuova tassa su questo alimento), è l’atto finale di un progressivo accentuarsi della gravitazione nell’orbita pontificia, a sua volta soggetta, in quel secolo turbolento, alle mire delle potenze che si stavano contendendo la “povera Italia”». 
Il cardinale prosegue rievocando sia la sua Toscana, sia le sue personali battaglie. «Prima di Perugia, sono stato vescovo ad Arezzo-Cortona-Sansepolcro. E, prima ancora, a Massa Marittima-Piombino: ho affrontato la ristrutturazione delle acciaierie insieme alle amministrazioni di sinistra, ai sindacati e all’ex presidente di Confindustria Luigi Lucchini. Erano gli anni delle privatizzazioni dell’Iri. L’impatto con Lucchini inizialmente non fu facile. Di fronte alla prospettiva dei licenziamenti, io gli dissi: “Cavaliere, si metta una mano sulla coscienza”. Lui all’inizio si inquietò: “Io non sono mica il presidente della Caritas di Piombino”. A quel punto gli replicai: “Certo che no, perché son io il presidente della Caritas”. Lui si fermò e iniziò il dialogo. Fu un incontro umano importante. La tensione politica e sindacale si stemperò. E, alla fine, furono definiti ammortizzatori sociali per duemila persone».
L’antipasto è composto da prosciutto crudo, formaggio di latte di capra, sottaceti. Il cardinale mi mostra una immagine in bianco e nero dei tempi del seminario. La Pira è affacciato ad una finestra ed è fotografato di spalle, il gioco di luce davanti e l’oscurità dietro la sua figura ne accentuano l’immagine ieratica e carismatica: «Fra il 1958 e il 1964, La Pira organizzò quattro colloqui sulla pace nel Mediterraneo. In quelle occasioni la profezia e la politica, la religione e le relazioni internazionali si mescolarono», ricorda il cardinale. L’opera di La Pira si inquadrava in una Italia che, dal punto di vista geopolitico, provava a costruire e ad affinare una sua centralità nel Mediterraneo: nelle relazioni diplomatiche attraverso i rapporti con il mondo arabo e con Israele, negli equilibri economici con i progetti di Enrico Mattei per una Eni alternativa all’egemonia angloamericana delle “sette sorelle”, le compagnie petrolifere dominanti, e per un modello di sviluppo del Nord Africa e del Medio Oriente in cui la ricchezza rimanesse anche in quei luoghi e non fosse assorbita e trasferita soltanto in Occidente. «Nel 1967, all’indomani della Guerra dei sei giorni, La Pira fu importante per riannodare il dialogo fra i Paesi arabi e Israele; ebbe modo di incontrare il ministro degli esteri israeliano Abba Eban e il presidente egiziano Nasser», rammenta Bassetti.
Nel procedere del pranzo, mentre sono serviti tortelli di magro con sugo di pomodoro, la conversazione volge al presente. Oggi il Mediterraneo rimane strategico. Basti pensare alle crescenti influenze esercitate da Russia, Turchia e Iran. E, in generale, all’inserimento del Mediterraneo nel nuovo ordine mondiale segnato dalla fine della egemonia americana, le politiche della Casa Bianca e i progetti della Cina, oggi sempre più presente in Africa. Nel Mediterraneo non europeo, le comunità cattoliche sono qualche volta significative nel numero (per esempio, la metà degli abitanti del Libano è cattolica) e qualche volta minoritarie, ma essenziali: nella giovane e fragile democrazia della Tunisia, nell’Egitto di al-Sisi e nella Libia martoriata e disaggregata, senza più Stato. 
Il primo viaggio apostolico di Bergoglio è stato, l’8 luglio 2013, a Lampedusa, dove da una motovedetta della guardia costiera il Papa ha gettato in mare una corona di fiori, in ricordo di chi è morto nelle traversate, e dove durante la messa ha adoperato un calice fatto con il legno di una delle imbarcazioni usate dai migranti. «Il convegno di Bari ha un senso molto fattuale: circa sessanta vescovi rivieraschi raccontano le loro esperienze e condividono i loro progetti. Il Mediterraneo oggi è una tomba nel mare ed è un luogo di conflitti e di miserie sulla terraferma. Pensiamo ai campi di concentramento in Libia e ai punti di raccolta dei profughi fra la Siria e la Turchia. Bisogna ripartire. E noi vogliamo farlo con concretezza. Senza astrazioni. Inserendo il messaggio spirituale e pragmatico in un contesto che è sia religioso sia civile».
In tavola viene servita della arista di maiale con patate al forno. Su un punto Bassetti è chiaro: «In questo momento, non sono pochi quelli che dubitano e criticano le gerarchie e, con crudezza, attaccano il Papa. Questi atteggiamenti sono a mio avviso sbagliati. La Chiesa, come ho detto più volte, con un concetto caro a La Pira, è come una barca al cui timone Gesù Cristo ha messo Pietro. Ognuno deve svolgere il suo compito. E questo va fatto in ogni occasione. Per tale ragione abbiamo scelto di focalizzare il messaggio su una visione di testimonianza realistica del Mediterraneo. Noi ci occupiamo di un messaggio che possa contribuire anche a fornire spunti concreti. Chi meglio di quanti si trovano in mezzo a questi conflitti e a queste miserie può raccontare e chiedere? Chi meglio di chi è vescovo in Libia, in Siria e in Tunisia può spiegare e proporre, quando ha a che fare tutti i giorni con le migrazioni bibliche, l’accoglienza e l’integrazione?».
In tavola, intanto, arrivano i dolci: delle classiche frappe, che al nord sono chiamate chiacchiere o bugie, e delle brighelle, piccole zeppole ripiene di crema che vengono preparate a Perugia sotto Carnevale. E, mentre beviamo il caffè, di fronte all’enigma delle cose e al caos del mondo il presidente della Cei si lascia invadere, miscelando la soddisfazione per l’incontro sul Mediterraneo con il senso di complessità che sta attraversando la Chiesa, da un moto di ottimismo: «Mi viene spesso in mente Isaia che dice: “Sentinella, a che punto è la notte?”. E la sentinella risponde: “L’alba viene”».