La Stampa, 23 febbraio 2020
Teho Teardo fa suonare l’Encyclopédie
Teho Teardo era entrato nell’archivio della Fondazione Feltrinelli, a Milano, per vedere una copia dell’Utopia di Thomas More del 1516. Cercava ispirazione nel passato per un progetto che puntasse al futuro. Tra gli scaffali alti tre metri, un piano sotto terra, tenuti a temperatura costante e illuminati al neon, ha visto una serie di libri di grandi dimensioni, tutti rilegati nella stessa maniera. «Mi hanno detto che era l’Enciclopedia di Diderot e d’Alambert. Non solo: me l’hanno fatta sfogliare. Mi sono un po’ commosso. Poi, a sorpresa, vi ho trovato dentro musica, tanta musica, partiture di cui ignoravo l’esistenza. Ho detto a Massimiliano Tarantino, il direttore della Fondazione: sento che è il caso di cercare in questi libri l’idea per il mio prossimo lavoro».
L’attualità del 700
Il nuovo lavoro di Teho Teardo esce il 6 marzo, si intitola Ellipses dans l’harmonie. Dieci brani musicali ispirati all’Encyclopédie, assolutamente contemporanei, orchestrali ed elettronici, inclassificabili come il suo autore, che infatti è più celebre all’estero che in Italia, anche se magari molti di noi conoscono le sue eccellenti colonne sonore dei film di Salvatores, Chiesa, Sorrentino, Molaioli, Vicari, oppure il suo personalissimo rock nei dischi con Blixa Bargeld («Ne abbiamo un altro pronto e da maggio saremo in tour»), negli spettacoli con Enda Walsh, il drammaturgo irlandese che scrisse Lazarus con David Bowie. «A questo nuovo album - racconta - ho lavorato due anni, con molti momenti di scoramento. La strada l’ho trovata quando ho steso per terra le fotocopie ingrandite delle pagine dell’Encyclopédie. Ho capito che c’era un piano. Era una macchina del 1700 per fare musica. L’ho usata per scrivere musica di oggi. È stato come lavorare con un fantasma, come entrare in una casa del ‘700 e trovare le tracce di chi l’ha abitata. Come andare a bottega da un artista di allora. Sono pieni di vita quei libri, sono l’astronave di Kubrick che vola nello spazio oscuro di 2001 e che contiene tutti i codici conosciuti. Li ho studiati, seguiti, sono entrati dentro di me. Poi li ho fatti saltare in aria, ho abbandonato tutte le regole e ho iniziato a scrivere».
Studiando quei codici illuministi, dice Teardo, ha ritrovato se stesso: «In questi libri c’è tutto ciò che l’uomo allora sapeva di sé e del mondo, del rapporto tra l’uomo e il mondo. Ci ho visto un parallelo con l’oggi, con gli oscurantismi che affrontiamo ora, il razzismo, la discriminazione nei confronti delle donne, il capitalismo fallimentare che fa lavorare le persone in condizioni allucinanti. Ho capito che un illuminismo radicale sarebbe ancora rivoluzionario. Ci sono dibattiti importanti da fare. È il caso di ricatalogare tutto, rimettere in ordine. Dare i nomi alle cose. È l’aspetto politico di questo disco, che viene prima di quello musicale. È anche per questo che Ellipses dall’11 marzo - a Milano, alla Fondazione Feltrinelli dove è nato, poi in altri sei città, le ultime delle quali sono Genova, il 18 marzo, e Rivoli, il 19 - diventerà un concerto. Voglio portarlo in giro, cerco il confronto».
Furia espressiva
Teardo, classe 1966, vive a Roma da una quindicina d’anni. Viene da Pordenone. Ha cominciato giovanissimo, nella prima metà degli Anni 80, con una sorta di rumorismo molto originale, istintivo: «Da ragazzino mi piaceva così tanto ascoltare dischi che ho deciso che ne avrei fatto uno. Non sapevo niente, suonavo la chitarra ma non sapevo neppure che fosse necessario accordarla. Appartengo alla categoria dei musicisti autodidatti, che prima fanno una cosa e poi studiano, cercano di capire cosa hanno fatto. Stavo in provincia, non mi confrontavo con nessuno, e questo mi ha aiutato a mantenere una furia espressiva indomabile. Il primo disco l’ho fatto a 17 anni con quella chitarra scordata, un’eco a nastro, due carcasse di lavatrici recuperate in discarica. Ho preso del carburo di calcio, registravo le esplosioni di gas dentro le lavatrici. Usavo trapani, un martello pneumatico, microfoni. Ho fatto un album totalmente atonale senza pormi mai il problema della tonalità. Era una scelta estetica, spontanea. Il disco è uscito, è andato in giro per il mondo e ha creato una serie di reazioni che mi hanno messo in relazione con altri. Adesso posso lavorare con un’orchestra, e mi piace molto. Però è come se con me avessi sempre quel carburo, che può esplodere da un momento all’altro».