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 2020  febbraio 23 Domenica calendario

Biografia di Giorgio Locatelli raccontata da lui stesso

Le pentole erano i suoi Lego, “le mani nell’impasto il mio pongo; con i mestoli magari fingevo di suonare una musica non ben precisata”; la cucina del ristorante di famiglia, nella campagna varesina, il Luna Park. Giorgio Locatelli è il vero frutto della sua storia: è sapore per la vita e gusto per la scoperta, e quando parla mette la giusta sapidità a un piatto “personale” che cucina da sempre, che dosa da trenta e passa anni, da quando giovincello “ho superato il confine fisico e mentale per aggiungere spezie alla mia anima”. Così, mentre l’edonismo affogava il Paese, negli anni Ottanta ha raggiunto prima l’Inghilterra, poi la Francia (“dove mi definivano ‘italiano di merda’”), quindi di nuovo a Londra per aprire il suo primo ristorante e conquistare la Stella Michelin. Adesso è tornato come giudice di MasterChef, e “per me è una rivincita”.
Ora c’è la questione Brexit.
Mia moglie è inglese, e con il sorriso è tornata ad appellarmi ‘immigrato’.
A lei brucia.
Non con mia moglie, ci mancherebbe, ma questa storia è una totale idiozia: il giorno dopo il voto mi sono svegliato con il mal di stomaco.
Anacronistici?
Provengo da un’altra storia, e la rivendico; nel 1989 sono corso a Berlino quando è caduto il muro: tre giorni fantastici, intensi, adrenalinici, talmente forti da non prevedere le ore di sonno. Nessuno voleva perdere le sfumature del tempo.
E…
I cittadini di Berlino Est appena superavano il muro entravano nei supermercati e acquistavano le banane, e mentre camminavi dovevi stare attento perché le strade erano ricoperte di bucce.
Il cibo è sempre stato un parametro.
Non solo mio, ma in assoluto: al confine tra Berlino Est e Ovest gli occidentali avevano piazzato un grande magazzino, tutto luci e meraviglie gastronomiche, per simboleggiare l’opulenza davanti al razionamento (il KaDeWe).
Insomma, oggi…
Per anni ho sentito l’Italia avvicinarsi all’Inghilterra e grazie al cibo: dagli anni Novanta in poi sono arrivate continue novità, quindi c’è stata una legislazione a livello europeo dedicata ai prodotti alimentari; ora tutto ciò andrà rielaborato ed è folle.
Sempre il cibo…
Sembrerà strano, ma vent’anni fa in Inghilterra non conoscevano i borlotti freschi, oppure il cavolo nero; piano piano sono arrivati, e non solo è diventato un business, ma anche un aumento della qualità della loro nutrizione.
Lei è testimonial.
Il mio esordio in Inghilterra è del 1985, poi sono andato a lavorare in Francia…
Anche lì “immigrato”?
Mi definivano ‘italiano di merda’, e se fosse stata una tantum ci avrei riso, al contrario era un continuo, e per un anno e mezzo nessuno mi ha appellato con il mio nome. Nessuno.
Simpatici.
Restavo zitto, mai una ribellione: ero dentro un ristorante a tre stelle Michelin, il mio sogno, non potevo soccombere, non potevo offrire una scusa per interrompere il mio percorso professionale.
Ingoiava.
Sì, nella testa ero obbligato, era il pegno ai miei sogni, ma non ci stavo bene: ho impiegato anni per ricostruire il mio respect (intende amor proprio), perché certe situazioni ti uccidono psicologicamente, azzerano chi sei.
Rischioso.
Quando sono tornato da Parigi pesavo circa 60 chili ed ero già alto un metro e 81. Scheletrico.
Quando i suoi l’hanno rivista?
Nonna fu la più coraggiosa e reattiva, mi portò immediatamente dal dottore e la diagnosi fu semplice: malnutrizione. Quindi prescrisse una dieta ipercalorica e progressiva. Anche il fisico doveva riabituarsi con calma, come un disidratato che ha attraversato il deserto.
Niko Romito, tre stelle Michelin, sostiene che la vostra è una professione totalizzante.
Romito è arrivato molto più in alto, e probabilmente ha rinunciato più di me alla vita comune. (sorride) Comunque è vero, e una delle vittime-testimonial è mia figlia: non ho mai potuto assistere a una sua recita, non so quante cene della Vigilia ho saltato, o pranzi di Natale. Per fortuna mia moglie ha assorbito il fardello dei sensi di colpa.
Sempre al ristorante.
A Londra si lavora sette giorni su sette, mentre quando ero bambino, e i miei gestivano un ristorante di campagna, i tempi lavorativi erano molto differenti.
Lei già in cucina…
Sempre, ho ancora nel cervello il profumo del brodo preparato ad arte, con un rigore quasi religioso (ci pensa un po’). Sì, a mia moglie devo veramente molto.
Lavorate insieme…
E insieme abbiamo deciso di aprire il ristorante, anzi è stata lei a percorrere l’ultimo miglio, quello del coraggio.
Sua moglie ha dichiarato che all’inizio lei era inguardabile, vestiva con un maglione di Snoopy.
Ma era il top! Era la moda dei paninari milanesi: lo aveva portato a Londra un amico italiano, e me lo lasciò come eco di un presente a me lontano, quando sentivo i racconti di chi usciva e si divertiva, mentre la mia dimensione era ai fornelli.
Vince l’ossessione.
Vince l’obiettivo.
Il suo collega Barbieri ha dichiarato al Fatto: “Se mi tolgono una stella finisco dallo psicologo”.
Le stelle sono un po’ il coronamento di una carriera, è come un grande atleta che conquista una medaglia d’oro alle Olimpiadi, ma attenzione: senza medaglia resti comunque uno sportivo.
E per lei?
Uno non apre un ristorante per ottenere una stella, ma per soddisfare la propria visione di ristorazione, poi magari arriva il riconoscimento ed è molto utile, ancor di più per le attività di campagna o provincia, dove è necessaria l’esposizione mediatica.
In città?
Funzionano le recensioni del Guardian o del Times, e resta importante mantenere la stella conquistata tanti anni fa; il problema è che oggi tutti s’illudono di saper cucinare un po’ come tutti ritengono di saper fotografare e solo perché strappano like sui social.
Grazie ai social e alla tv i clienti sono tutti esperti.
Uno dei primi chef con il quale ho lavorato si raccomandava con i camerieri: ‘Non domandare mai cosa ne pensano del piatto, altrimenti te lo dicono!’. Ecco, Tripadvisor è un po’ così, ma non lo uso, non leggo, solo mia moglie controlla; l’altro giorno un tizio ha pubblicato una recensione su un piatto di pasta, peccato che ha mangiato altro.
Un haters.
A Londra il ristorante migliore, il top di Tripadvisor è un fake: un tizio ha creato un profilo e via con le recensioni, ma non esiste, e la gente prova pure ad andarci.
Cosa ne pensa dei critici gastronomici?
Ne ho conosciuti alcuni talmente bravi da insegnare: magari non erano in grado di cucinare neanche un piatto di pasta, ma la loro cultura, la loro visione era talmente alta da trasmettere sapere.
Culturalmente tra voi chef c’è stato un salto di qualità?
Siamo più preparati di un tempo: in cucina ho dei ragazzi italiani in grado di spaziare dall’arte al cinema, fino alla letteratura, e il cibo rientra nell’ambito culturale; quando ho frequentato la scuola alberghiera, gli alunni erano o figli d’arte o furbetti senza futuro.
Refugium peccatorum.
Quelli carini diventavano camerieri, i brutti cuochi.
Lei è quindi un ossimoro.
Perché?
È un bell’uomo.
Non ha idea delle mie condizioni di allora.
I medici definiscono la cocaina, il sale e lo zucchero come i tre killer bianchi.
È verissimo, e in alcune parti del mondo la situazione non è semplice: a Dubai ti pagano in oro se perdi dei chili.
È una battuta?
No, è la realtà: ci sono dei programmi dietetici con questo stimolo economico, perché lì hanno un grave problema legato allo zucchero.
Fulvio Pierangelini, guru della cucina, accusa i programmi tv di puntare troppo sulla perfezione, mentre “l’imperfezione significa coraggio”.
Ha ragione, ma non sempre è possibile: non posso cuocere a regola dei formati di pasta troppo differenti; (sorride) una volta ho provato a seguire il suo esempio…
Quale?
Obbligava la sua brigata a tagliare la cipolla a mano, ‘come le donne a casa’; quando sono tornato ho detto ai miei: ‘Dobbiamo seguire l’esempio’. Dopo pochi giorni avevano gli occhi a pezzi.
Aldo Grasso l’ha lodata per un giudizio su una concorrente: “Questo piatto sa di arroganza”.
Alle eliminatorie giudichiamo 20-25 persone al giorno, e oggettivamente dopo un po’ diventa una rottura di palle e soprattutto capisci da come il concorrente tocca il cibo il suo rapporto con il piatto, e il suo atteggiamento mi aveva veramente colpito. Forse sono stato un po’ duro…
Insomma, tutti chef.
E magari non capiscono quanto è duro come lavoro: nei primi dieci anni di carriera devi essere pronto a tutto; quando ho aperto il mio ristorante, per i primi vent’anni non ho visto una lira, ed eravamo bravissimi a compilare i moduli bancari per ottenere prestiti.
La scimmia l’ha mai assaggiata?
Solo il cervello.
Serpente.
Tantissime volte.
Insetti.
Una grande varietà, non solo le formiche; ma attenzione: ho in assoluto una grande curiosità, e se un elemento fa parte di una cultura culinaria, non resisto e riesco a superare anche lo schifo iniziale.
Tipo?
Con la Bbc sono andato in Sudafrica in un celebre ristorante e lì cucinavano di tutto, carni assurde e scioccanti per i sapori.
C’è un limite?
Non mangio carni che arrivano dai bracconieri, e in Paesi come la Thailandia è complicato mantenere il confine.
Da lei si lascia il cellulare alla reception.
A cena sì, a pranzo è complicato: deve vincere la convivialità e non c’è niente di più odioso che sentire qualcuno accanto che urla al telefono, e tratta il ristorante come un ufficio.
Giusto.
Però dei telefonini mi sta sulle palle chi fotografa i piatti, e quei piatti escono malissimo, e penso ‘me lo hai distrutto’.
È amico di Mick Jagger.
Ricordo una passeggiata per Londra, e mi ha stupito un dato: nessuno lo ha fermato, i fan al massimo lo salutavano; in Inghilterra la privacy è considerata molto importante.
L’Inghilterra è il Paese dei tabloid.
Londra è differente, quando al ristorante arrivano personaggi come Federer, non accade mai nulla, l’unica questione è accontentare le loro esigenze.
Bislacche?
No, da sportivi: Federer mangia 250 grammi di pasta, Dettori al massimo si può concedere 60 grammi di carpaccio, mentre Hamilton 100 grammi di pasta solo pomodoro e senza olio; il fisico viene considerato come un motore.
Un suo vizio?
Il fumo, ma evito per non rovinarmi il palato.
Paura?
Solo timori sui figli.
Scaramanzia?
Se trovo un penny per strada lo raccolgo sempre, anche se è poggiato su una cacca.
Chi è lei?
Difficile. Più che altro parlano le mie azioni.
Il prossimo anno ancora MasterChef?
Mia moglie non è convinta, mi critica per l’assenza. Io voglio; mi piace tanto (cambia tono); prima non avevo combinato nulla in Italia, e tornare nel mio Paese, a gamba tesa, è stata una delle più grandi rivincite della mia vita.
Altro che italiano di merda…
I primi anni i miei genitori sono sempre stati poco convinti della mia scelta, mentre ora le persone che conosco hanno mutato atteggiamento e sono piene d’orgoglio. Non posso rinunciare.