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 2020  febbraio 23 Domenica calendario

A Milano Carl Jung in passerella

Carl Jung in passerella? Carl Jung in passerella. È dai sette archetipi femminili identificati dallo psicologo un secolo fa (la madre, la regina, l’amante e così via), che il direttore creativo di Salvatore Ferragamo, Paul Andrew, s’è mosso. Lui a questa catalogazione ci tiene davvero, tanto da piazzare l’elenco sulla parete in backstage dedicata alle ispirazioni della collezione, accanto a Oprah Winfrey, Beyoncé e Nancy Pelosi, a suo dire prototipi contemporanei della femminilità junghiana.
Buona idea, ma il pericolo, con riferimenti così astratti, è di perdersi in concetti troppo cervellotici: Andrew però pare saperlo, e alla fine, in passerella, tutto il preambolo si rivela solo un modo per spiegare una collezione molto quotidiana per molti tipi di donne. Il designer resta sul concreto con un guardaroba da giorno (i look da sera sono meno spontanei), senza alzate d’ingegno; al limite sono i dettagli a rimandare a quel potere femminile tanto invocato: il perfecto trasformato in abito, i tailleur pantaloni con annesso corsetto, gli spacchi nelle gonne. Il vero asso però sono gli accessori: i sabot a listarelle, gli stivali sfilati, gli anfibi, e tra le borse a scatola di cuoio quelle di pelle intrecciata. E se funzionano gli accessori, non c’è psicanalisi che tenga.
Da Agnona anche Simon Holloway ha in mente un tipo di donna. Carolyn Bessette, la biondissima, bellissima ed elegantissima moglie di John John Kennedy, simbolo mai dimenticato (Instagram pullula di account a lei dedicati) dello chic minimal anni 90. È su di lei che lo stilista modella il lusso essenziale del marchio, in una serie di pezzi volutamente neutri, dai fourreau di cashmere non tinto alle giacche scolpite con le gonne longuette del finale. Con una musa così alla moda però c’è un problema: Carolyn Bessette era famosa per il suo guardaroba zeppo di Yamamoto, Prada e Calvin Klein; succede così che più volte quei designer si ritrovano pari pari in passerella. L’omaggio è comprensibile, ma la questione resta.
L’icona di Massimo Giorgetti per il suo MSGM è in sala: Dario Argento, con cui per la seconda volta (la prima è stata a gennaio con il menswear) il designer ha collaborato. In passerella vanno infatti le protagoniste dei primi film di Argento “rieditate”, Susie di Suspiria e Jennifer di Phenomena comprese. Ovviamente con certi riferimenti le donne che ne risultano risultano molto, molto giovani: poco male, l’attrattiva del suo mix di cappotti maschili, gonnelline di paillettes e uniformi stampate con le locandine dei film è trasversale.
Lorenzo Serafini da Philosophy cita invece Patty Pravo e David Bowie, e punta alla Londra dei primi anni 70 e alla moda bohémienne alla Biba, tra stampe Liberty, velluti e fiori finti. Un bello stacco dal minimalismo che domina questa tornata. Il minimal è da sempre tra le cifre di Gabriele Colangelo, e lo stilista resta coerente alla sua linea, “tagliandolo” però con le grandi impunture a vista che scolpiscono le giacche e la pelle resa elastica dai tagli al laser.
I punti fissi di Ermanno Scervino sono chiari: la maglieria, il pizzo, meglio se incrostato di cristalli, la pelle. Dunque non sorprende che lo stilista Ermanno Daelli parta da qui, lavorando per accumulo: i tailleur pantaloni in principe di Galles sono ricoperti di polvere d’oro, i cappotti di cashmere hanno ricami fatti a mano, sulle sottovesti di eco-pelle ci sono tralci fioriti, il tulle gronda di strass... A tratti c’è troppo in ballo, e la collezione alterna momenti di chiarezza ad altri più confusi. Elisabetta Franchi si concentra sui toni della pelle, dalle più pallide alle più scure, e da lì spinge all’estremo l’idea. Astenersi non amanti del rosa.
Ci ha messo meno di un anno Daniel Lee per sconvolgere la moda con la sua interpretazione di Bottega Veneta. Chi l’avrebbe mai detto, al suo debutto lo scorso febbraio, che le sue scarpe con la punta quadrata, le forme al limite del punitivo e l’allure molto, ma molto aggressivo – una specie di Helmut Lang incattivito -, sarebbe diventato la via per essere rilevanti sul mercato. «Io non ne vedo di miei imitatori in giro», dice un assai sorridente Lee dopo la sfilata. Il designer pare più disinvolto rispetto all’esordio di 12 mesi fa, e assieme a lui s’è “sciolta” pure la collezione. «Le prime due collezioni sono state concentrate sulla silhouette, per questo i tessuti erano tanto rigidi», conferma lui. «Stavolta invece m’interessava fare abiti pensati per il movimento, comodi». Scelta prevedibile? Forse per gli altri: per Lee il movimento passa attraverso i pantaloni fatti di balze di frange, le pellicce bordati di pseudo-code che toccano terra, le enormi tuniche di strass drappeggiate sul corpo. Anche i colori sono molto più energici, con abbondanza di rosa cicca e verde lime, forse la tinta meno donante di sempre. A fare da contrappeso a tutto questo guizzare ci sono le scarpe, ancora una volta belle “rocciose": la novità stavolta è una sorta di ibrido tra gli stivali di gomma e i Croc’s. I cultori delle scarpe brutte possono dormire sonni tranquilli.