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 2020  febbraio 23 Domenica calendario

Storia del Casale calcio

Precedenza agli arretrati. Il Casale respinge l’aggettivo “smemorati”, presente nel titolo della rubrica di sette giorni fa: «Abbiamo rispetto della nostra storia e di chi l’ha scritta». Ed elenca una lunga serie di articoli, pubblicazioni, iniziative che hanno ricordato il fondatore del club, il professor Raffaele Jaffe, morto ad Auschwitz. Tra le iniziative anche il podcast La stella di cartone, prodotto da Repubblica. Infine, segnala che il 27 gennaio, Giorno della memoria, i giardini davanti alla stazione ferroviaria sono stati intitolati a Jaffe alla presenza del sindaco Federico Riboldi e «con l’entusiastico sostegno del Casale e della comunità ebraica». Ne sono lieto. E mi spiace che al Casale siano arrivate mail che gridavano alla vergogna e insultavano pesantemente. Ormai va così, arrivano anche a me. Basta dire che era rigore, o il contrario, e si scatenano i cosiddetti leoni della tastiera, e non credo di esserlo. Semmai, leone della pastiera (napoletana). D ue motivi per tornare indietro. Perché è corretto ascoltare tutte le campane e perché sette giorni fa mi riferivo a un episodio, uno solo, e non a una storia ultrasecolare. Un lettore, nato a Casale e non ebreo, come avevo scritto, mi segnalava dalla Svizzera, dove vive, di una sua proposta fatta al Casale (una stella gialla sulla maglia per una domenica al posto di quella bianca, a ricordo di Jaffe). Non era campata per aria, tanto più alla luce di scritte antisemite apparse in Piemonte. Non a Casale, a Mondovì e a Torino. Proposta caduta nel vuoto, dopo due mesi di scambio di mail. In quella che mi ha mandato il Casale leggo: «Il lettore, che non abita a Casale e non ha niente da spartire con la realtà né di Casale né “del” Casale, ha fatto di una proposta che rispettiamo – non condivisa peraltro da nessuna delle componenti del mondo nerostellato – il motivo per gettare discredito sulla società». Ecco, forse non è il caso di cercare secondi fini in una vicenda molto semplice. Al Casale arriva una proposta. La rispetta ma non la condivide. Bastava dirlo prima. E in generale non occorre abitare a Liverpool per scrivere a Klopp, come dimostra lo scambio di lettere col bambino di Manchester. Q uanto a me, non ho nessun motivo per gettare discredito sul Casale, anzi ricordo volentieri i giorni in cui me ne sono occupato, in un giro tra le squadre del famoso Quadrilatero. Giocava in Interregionale, in sede erano molto efficienti e cordiali. Allenava Guido Vincenzi detto Guidone per la stazza, lo ricordavo difensore nell’Inter e nella Samp. Se l’è portato via la Sla. «Andare a pesca e a funghi, parlare con gli amici, avere una donna. La vita è tutta qui», mi disse in trattoria. La stella, non sulla maglia ma in campo, in quell’inverno del 1986 era Scarrone, frettolosamente etichettato come nuovo Rivera. Mi ero mosso tra il bar dei tifosi e il cimitero (Monzeglio, Allemandi). Mi era stato mostrato il corso d’acqua dove molti vercellesi erano stati spinti a calci nel sedere. Ero andato a casa di Giovanni Bertinotti, unico sopravvissuto di quelli che conquistarono lo scudetto nel 1914. Saliva e scendeva giù serenamente dal secondo piano, senza ascensore. Lucidissimo, a 92 anni. «Non dovevo fare granché, solo buttare il pallone in mezzo, poi ci pensavano gli altri». Gli altri: «Eravamo tutti studenti, tranne Mattea. Eravamo tutti di Casale, tranne Mattea che era di Torino. E nessuno di noi prendeva una lira, tranne Mattea». Infine, a meno che non combini nefandezze, non getterei mai discredito su una squadra che ha per simbolo un cinghiale. Lo decise Carlìn negli anni Venti, il perché dell’abbinamento non è chiaro. N on chiaro, suppongo, dev’essere parso a Eriksen il metro di valutazione dei giornalisti sportivi italiani. Non tutti, preciso prima che arrivi una mail di protesta anche da loro. Ricapitoliamo. L’Inter lo acquista dal Tottenham e lo presenta a fine gennaio in un luogo molto significativo: la Scala. Forse il Duomo non era disponibile. Avanti: nemmeno il tempo di capire dov’è Linate e dove San Siro, ma questo è secondario, e debutta con la Fiorentina in Coppa Italia. Non è secondario che non abbia il tempo di sapere come si chiamano, nome o soprannome, i compagni di squadra, e se preferiscano il pallone sui piedi o sulla corsa, se siano destri o mancini, cose più importanti per chi di mestiere fa il calciatore. Conte gli riserva un po’ di panchina, minutaggi ridotti, e subito parte il tormentone: ma sarà davvero da Inter questo danese? Be’, se Conte l’ha voluto. Sì, ma non proprio voluto-voluto. Conte avrebbe fatto carte false (è un modo di dire, preciso prima che Conte protesti con una mail) per avere Vidal. Hai presente Vidal? Che grinta, che cattiveria. Non conviene metterli sullo stesso piano, sarebbe come paragonare un peperoncino a un cetriolo. Sarà bravino Eriksen, ma non ti cambia la squadra, non ti fa fare il salto di qualità. E intanto la Juve va, la Juve è andata. Giovedì Eriksen gioca titolare col Ludogorets (che non è il Real Madrid, con tutto il rispetto per il Ludogorets che spero non protesti via mail), fa un gol e oplà, torna subito sugli altari: ecco il centrocampista che porterà allo scudetto. Questa è la civiltà (per me il contrario) del tutto e subito. Voto 3, anche perché mi obbliga a rinviare l’angolo della poesia.