«Mah, farò come faccio nelle scuole, dove sono sempre andato. Dirò: voi mi avete invitato, fatemi voi delle domande».
Lei va ancora nelle scuole?
«Veramente no, non mi invitano più, forse pensano che sono troppo vecchio».
E cosa dice ai ragazzi, o cosa diceva.
«Una cosa importante. Sui sogni. Provate ad andare a letto e pensate: stanotte voglio sognare il mare, o di andare in montagna,o quella bella ragazza che ho incontrato oggi. Beh, non succederà. Non sognerete niente di tutto questo. Perché il sogno, che è così importante nella nostra vita, non è mai determinato dalla nostra mente».
E da dove viene?
«Dall’anima. E sogniamo quello che non ci aspetteremmo mai di sognare. Solo che poi non ce li ricordiamo. Bisognerebbe scriverli tutti, la mattina presto, appena alzati».
Dica un sogno importante da lei sognato.
«Eh, non me lo ricordo. Ma li ho tutti scritti. Venga con me».
A questo punto si entra nella camera da letto del poeta Loi, in un vecchio grande armadio con il vetro ci sono un centinaio di quaderni e vecchie agende, tutte fitte di scrittura elegante e leggermente piegata a destra.
Anche questo finirà in Cattolica?
«Certo.Quando sarò morto».
Lei ha paura della morte?
«No. So che c’è un’altra vita. Quale non so, ma c’è».
Lei non è cattolico.
«No, da quando avevo 12 anni, un giorno il prete chiese a me e ai miei amici se ci eravamo toccati, e dove, e quando. Eravamo nauseati, giurammo di non entrare più in chiesa».
Questo non le impedisce di avere un qualche senso religioso.
«So che c’è un grande spirito, al quale parlo, e domando: fino a quando ti servo, lasciami qua. Ma se non riesco più a parlare, portami via».
Cos’è, questo grande spirito, ci spieghi.
«Non lo so. Nessuno lo sa. Ma c’è».
Lei ha donato tutti i suoi libri, è come se stesse facendo le valigie.
«Ho la mia età. Quando ho fatto 80 anni me ne sentivo cinquanta. Oggi no. Nonci vedo più, vedo solo ombre, non esco più dicasa, se non accompagnato da mia moglie Silvana, che ne ha ottantadue. Abbiamo pensato: perché lasciare tutta questa roba ai figli, non sapranno dove metterla».
Scrive ancora?
«No, perché non ci vedo, se provo a farlo escono parole una sopra l’altra. E poi, la poesia non mi viene più. È finito, il tempo di scrivere. Eppure, ho scritto molto, molte raccolte, ho scritto tantissimo, sempre camminando. Quando ho scritto Strolegh, erano gli anni Settanta, era un luglio in cui ero solo a Milano, la famiglia era via in vacanza, io camminavo per la casa, poi quando ero stanco mi sedevo e scrivevo quello che avevo pensato. Mi sono abbandonato al dire interiore, alla parola che usciva da me».
Sembra un processo magico, una catarsi.
«Non lo è. È un interiore dettato. Non è facile da capire, ma oltre alla mente c’è altro. Perciò è importante scrivere i sogni. È un’esperienza di se stessi che si rivela, e che dobbiamo ascoltare. Ma per ascoltare il sogno bisogna saper ascoltare le cose».
Quali cose.
«I fiori. A me i fiori danno una forte commozione, anche se non li vedo più. Eunalberomicommuove,mi dà il senso di una vita. E poi gli animali.Hoavutoun gattoMeo, che ormai è morto.Quando è arrivato gli hodetto: qui haida mangiare,da bere, dadormire. Puoidormire sul divanoo nella tuacuccia, ma la notte devi farci dormire tranquilli. E lui ha imparato, ha capito tutto».
Molti scrivono poesie, molti cercano di farsi pubblicare.
«Moltiscrivono poesie secondo quelloche glihanno insegnato a scuola.Ma non è con la testa che si scrive poesia. Si scrive con l’anima, conl’abbandonocompleto ase stesso. Sennò, non si fache imitare i poeti. Ci vuole l’anima, quello che l’animaci dice. Oggi l’anima viene chiamatainconscio, mapermeè semprel’anima. Una bella parola, tra l’altro. Anima. L’anima ci dà la direzione in cui va il nostro essere”.
Lei è praticamente cieco, ma cosa sente, cosa “vede”.
«Quando escosul balcone,sento il grandetraffico di questa Milano moderna».
Una città che non si ferma mai.
«Naturalmenteè molto diversada quellache ricordo. Ricordo tante cose,tanti angoli. Quando si diventa vecchi si è dominati dai ricordi, o dalle visioni».
Allora, un ricordo.
«Adue anni, sono stato portatoin gita sopra Genova, che è la città in cuisononato. Eroconunbambino Federico, strisciavamo nell’erba alta, poi mi sono alzato e ho visto il mare. Ho detto: il cielo è sceso così in basso da toccare la terra. E Federico mi ha spiegato chenon era così. Il maresta in basso, noi lo guardavamo dall’alto».
Una visione?
«Ascuola, un professore di Lettere, cheun giornovidicircondato da unagrande luce, mentre eraalla cattedra.Domandai almio compagnodi banco:malavedi anche tu, quella luce? E lui: sì. Era un grandeinsegnante, unargentino.
Da un giorno all’altro sparì, poi qualcunoci disse che eraebreo e sa, c’erano le leggi razziali».
Lei ha conosciuto tante persone, tanti incontri anche importanti…
«Ah sì, ricordoMondadori, un giorno alleprese con unvecchio fattorinoche aveva fatto cadere dei libri. Gli disse: guarda che io e te con questociviviamo. Inmano avevaun libro».
Un’altra persona importante che si ricorda.
«Unoperaio dell’Alfa Romeo,ma non ricordo il nome. Costruiva le automobili, io allora frequentavo molto la classe operaia. Midisse: mi suncuntent inscì, sonocontento così. Mipiace il mio lavoro, imparo semprequalcosa delferro, e dime stesso».