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 2020  febbraio 22 Sabato calendario

Intervista alla disegnatrice francese Emma

Fino a trent’anni Emma non era ancora la fumettista-femminista che conoscono in Francia tanti lettori. Era assunta come ingegnere informatico in una società di telecomunicazioni, con un bello stipendio, un compagno non maschilista che credeva nella parità e nella suddivisione dei compiti domestici. Tutto bene, o quasi. Dopo il ritorno in ufficio dalla maternità, ha cominciato a sperimentare il “carico mentale”, espressione usata fino a qualche anno fa solo dagli studiosi di genere e diventata popolare Oltralpe proprio grazie alle strisce di Emma. La disegnatrice francese è riuscita a spiegare in scene brevi e illuminanti quanto il carico dell’organizzazione famigliare riposi ancora sulle donne, con un peso psicologico e intellettuale che si somma alla fatica di tutto ciò che c’è da fare. «Prima della nascita di mio figlio — ricorda — non capivo perché le donne dovevano ancora battersi, perché bisognava essere femministe».

Emma è finita in depressione e ne è uscita scoprendosi una vocazione politica espressa prima in un blog e poi attraverso i suoi fumetti, ora pubblicati in Italia da Laterza. La disegnatrice, 39 anni, ha aderito al movimento di scioperi contro il governo francese e si definisce «militante anti-capitalista e rivoluzionaria».
Nel 2017 la pubblicazione delle sue prime strisce sul “carico mentale” ha riscosso un successo immediato in Francia. Perché?
«È una nozione che ho scoperto per caso in un articolo e mi ha subito permesso di capire ciò che mi rendeva esausta. Se nelle aziende i manager pianificano le strategie ma poi delegano ad altri l’esecuzione, in molte case invece i due ruoli — pratico e mentale — sono svolti dalle donne. Un lavoro sfiancante e invisibile».
Qualche esempio?
«Ricordarsi le rette della mensa scolastica, prendere appuntamento dal pediatra per il richiamo del vaccino, accorgersi che i pantaloni sono ormai piccoli. Ogni donna saprà riconoscere il proprio carico mentale. È un lavoro che fagocita l’attenzione, impedisce di concentrarsi su una cosa sola alla volta, provoca un sottile senso di angoscia, quel timore costante di aver dimenticato qualcosa».
Nel fumetto, un personaggio maschile risponde così: bastava chiedere, ti avrei aiutata.
«Quando un uomo si aspetta che sia la sua compagna a chiedergli di occuparsi delle faccende, significa che la considera implicitamente come la responsabile unica della casa. Ho molti amici che sono sinceramente convinti di partecipare alla vita famigliare. Il problema è che sono degli esecutori».
C’è un altro carico invisibile che ha indagato.
«È il carico emozionale studiato dalla sociologa americana Arlie Russell Hochschild, per capire come moduliamo le emozioni in funzione delle aspettative degli altri. Molte donne si sentono responsabili del benessere emotivo del compagno o di altre persone della famiglia, anticipando i loro bisogni. Preoccuparsi per gli altri, essere empatici, è positivo. Solo che lo sforzo emotivo è a senso unico e non ne viene riconosciuto il valore».
Parliamo delle soluzioni. Ad esempio è urgente allungare il congedo paternità?
«Aiuterà, ma non sarà sufficiente. In paesi dove la paternità è più lunga che in Francia o in Italia la suddivisione dei compiti domestici è comunque squilibrata tra i sessi. Mi spiace, ma io sono per soluzioni più radicali e di lungo termine. Penso che senza cambiare la nostra organizzazione economica sarà difficile trasformare le nostre abitudini. Il capitalismo fa sì che l’uomo si appoggia sullo sfruttamento del lavoro femminile. E spesso le donne che lavorano e possono permetterselo si appoggiano su lavoratrici precarie e immigrate. È un sistema ingiusto e per me inaccettabile».
È in corso la ridefinizione culturale del maschile e della virilità: le sembra positivo?
«Anche io milito per un’educazione dei bambini che non segua gli stereotipi di genere. Nella realtà però molti uomini che si discostano da questi modelli vengono ancora penalizzati economicamente e socialmente. Quindi ci sono molte resistenze e ci vorrà del tempo».
Ha disegnato anche sulle molestie sessiste e sessuali. Cosa pensa del movimento MeToo?
«Il rischio è che si crei un fenomeno di risacca, dopo la grande onda. Siccome finalmente si parla molto di molestie e violenze sessuali, c’è chi pensa che il problema sia già risolto. E si fa strada la voglia di passare ad altro. E così le vittime che hanno avuto il coraggio di denunciare rischiano di essere dimenticate, mentre tanti uomini se la cavano. Basta vedere il regista Pola?ski che ha avuto dodici candidature ai César».
Nel libro critica il testo firmato da Catherine Deneuve e altre personalità francesi in favore della “libertà di essere importunate”.
«Èinteressantevederecomele donnechedifendonoildirittoad esseremolestatesonobenestantie sostengonogliuominiche appartengonoallalorostessaclasse sociale.ConilMeToo,ènatauna formadiresistenza.Alcuniuomini, purtropposostenutidaalcune donne,hannocominciatoalamentarsi.Permele molestiefannopartediuninsiemedicomportamenti abusiviadiversilivelli,chefannotuttiamenodel consenso.Ilmiosloganèsemplice:passiamodalla culturadellostuproaquelladelconsenso.Madanoi inFranciaèancoraradicatal’ideachepromuovereil consensosignifichicancellareflirtoseduzione».
E quando è un politico come Benjamin Griveaux ad essere vittima della pubblicazione online di immagini porno?
«Misorprende che tantidiano perscontatoche lo scambiodi videosia accaduto nell’ambito di una relazione consenziente. Siamo proprio sicuri che la ragazzafosse d’accordo? Ame è capitatodi ricevere immagini hardsenza esserne felice. C’è una rivolta per difendere la privacy diGriveaux, maschio bianco e potente, mentre interessa poco il fattoche il revengeporn sia unfenomeno dicui levittime sono soprattuttogiovani donne».