la Repubblica, 22 febbraio 2020
La sfilata di Versace a Milano
«Per i ragazzi oggi la sensualità non nasce dal corpo, ma dalla testa. Un concetto che mi piace, e su cui mi è sembrato giusto impostare questa collezione, la prima in cui sfilano uomo e donna assieme». Donatella Versace spiega così la sua moda, ma niente panico: la sua sarà pure una sensualità “di testa”, ma è anche vero che nessuno sa esaltare le donne come Versace. Lei è la prima a saperlo, e dà al suo pubblico ciò che vuole: microabiti bustier, tailleur che scolpiscono il corpo, fenditure che lasciano intravedere la pelle trattenute da anelli da piercing (variante delle celebri spille da balia). A fare da contraltare a queste silhouette tanto affilate c’è la parte più da strada: giubbotti con le zip fuori misura, gonne matelassé, pullover da rugby. Divertenti, ma non c’è storia: questa sfilata rimarrà impressa per i pezzi in nero più puliti, secchi, “adulti”, sexy. Donatella Versace la definisce “iper-femminilità”: non si può che darle ragione.
Anche Giorgio Armani per Emporio parte dal nero: «L’unico tono che funziona su tutte le donne», e lancia il suo manifesto contro la moda succube delle tendenze. Gli stilisti devono vestire bene le donne, dunque è necessario offrire loro gli strumenti per farlo. Basta un minimo di testa per capire cosa indossare, ragiona lui mandando in passerella shorts e pantaloni larghi, mini da sera e tuxedo. C’è anche spazio per l’ambiente con la capsule di abiti e accessori R-EA, in tessuti riciclati.
La sua tirata contro i trend risuona sulla passerella di Tod’s, con il debutto creativo di Walter Chiapponi. Piuttosto che cadere nella trappola della moda del momento, Chiapponi lavora su quell’eleganza quotidiana che ha fatto la fortuna del brand, traducendola in un linguaggio più rilassato e vicino a un pubblico giovane. Le sue ragazze androgine puntano sui classici: ottima scelta, a giudicare dai pantaloni di velluto a coste, i cappotti doppiopetto e i completi ingentiliti dai corsetti di nappa e dai mocassini col tacco sempre più alto. Vi si percepisce una certa allure borghese, che questa stagione pare essere uno dei nuovi leit-motiv. La si ritrova infatti poco dopo pure nell’etnico di lusso di Etro, tra gaucho, costumi balcanici e le signore ricche e sofisticate della Milano bene anni 70. Il concetto attorno a cui ruota la moda di Veronica Etro è chiaro e in linea con il marchio di famiglia. Per questo appena la designer devia da quell’immaginario lo si nota: peccato intaccare un Dna tanto prezioso. L’identità di Luisa Spagnoli sta nella concretezza con cui veste le donne, e Nicoletta Spagnoli, nipote della fondatrice e oggi alla guida del brand, lo sa; dunque il suo più che uno stravolgimento è una revisione del prêt-à-porter delle origini: vestiti ben fatti, appetibili tanto per chi segue la moda quanto per chi vuole solo vestirsi bene (Armani docet).
La collezione dei 50 anni di Sportmax guarda al futuro, letteralmente: toni metallizzati, tuniche che paiono fatte di jersey liquido a effetto “galassia”, forme che ricordano i costumi delle serie sci-fi rétro alla Star Trek. Per un marchio la cui forza sta nella sartorialità, com’è evidente nei capispalla e nei completi, una scelta così didascalica pare un po’ un peccato. Uno che non ha problemi a mettersi in discussione è Francesco Risso, che da Marni, in una sequenza di patchwork sempre più folli, rimugina sul rapporto tra realtà, psichedelia, futuro e passato (i broccati sono stati fatti sui telai progettati da Leonardo Da Vinci). Marco De Vincenzo la moda la conosce e la sa trattare; lo dimostra giocando con piccolo e grande: micro-borse e macro-colletti, maxi-pull e mini-gonne e così via. Il gioco gli riesce.
Ci si diverte come sempre da Moschino, dove la Maria Antonietta di Jeremy Scott (la versione di Sophia Coppola più che l’originale) mette mini-abiti da gran dama sostenuti da enormi panier, o s’infila le sontuose, coloratissime torte servite ai suoi banchetti. Soluzioni non proprio pratiche, ma che importa, se fanno sorridere?