Libero, 22 febbraio 2020
Gli pseudonimi celano manie e amori
Buona parte della letteratura mondiale si è affermata in clandestinità, sotto falso nome. Se è vero quello che diceva Borges, cioè che tutta la letteratura è stata scritta da un unico grande Autore, allora i singoli autori non sono che dei prestanome. Ma più concretamente usare uno pseudonimo o non rivelare la propria identità ha una funzione pratica: consente di focalizzare l’attenzione del lettore sul libro anziché su chi l’ha scritto, sacrificando la fama personale a vantaggio dell’opera. Allo stesso tempo però, così facendo, si alimenta il mistero sulla propria figura e quindi si guadagna in visibilità proprio grazie al fatto di essere invisibile. Hanno agito questi fattori nel trionfo, prima letterario e poi tv, di Elena Ferrante e de L’amica geniale: gli interessi di lettori e spettatori convergono su Lila e Lenù, le due protagoniste, ma anche su una terza “donna”, l’autrice geniale che le ha partorite. Mater ignota e per questo seducente. Da questo punto di vista, adottare uno pseudonimo, un nom de plume, può essere un’ottima strategia commerciale per farsi notare. Il trucco è scomparire a se stessi per emergere; anziché cambiare genere letterario, stile di scrittura o casa editrice, si cambiano le generalità. È quanto suggerisce Giuseppe Elio Ligotti nell’affascinante romanzo Lo pseudonimo (Porto Seguro, pp. 210, euro 14,90), in cui il protagonista Marco Tògliti, scrittore puntualmente rifiutato dalle case editrici, consegna la sua ultima fatica letteraria sotto falso nome, Arcangelo Gutierrez. È un’identità finta, ma non irreale, perché quell’Arcangelo Gutierrez esiste davvero: dopo una circostanza fortuita che farà incontrare i due Arcangelo, quello vero e quello falso, essi stringeranno un accordo per garantire a Marco il successo letterario. Il patto comporterà un sacrificio ulteriore oltre a quello del nome: qualcuno dovrà morire affinché l’opera viva...Al topos classico del doppio, qua si aggiunge il tema dell’influenza del contesto sul testo: al fine di assicurare successo a un libro, non conta tanto la storia raccontata, quanto la storia (misteriosa) di chi l’ha raccontata. E poi c’è un suggerimento utile su come gabbare le case editrici: in un mercato che rende tutti anonimi, il segreto per acquistare un nome è privarsi del nome. Da ultimo, c’è uno scambio interessante tra realtà e letteratura: Ligotti, che a lungo ha pubblicato con lo pseudonimo Nelson Martinico, dà vita a uno scrittore che, per pubblicare, deve utilizzare a sua volta un nome finto, diventando così personaggio, creatura della sua stessa invenzione. È un trucco, d’altronde, cui hanno fatto ricorso molti giganti della letteratura che, per dirla con Cartesio, avanzavano mascherati. Alcuni, in modo pragmatico, decisero di cambiare il nome perché troppo lungo e respingente: si pensi a Joseph Conrad che si chiamava Józef Teodor Konrad Korzeniowski o a Pablo Neruda il cui nome di battesimo era Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto. Scelsero invece di avere nomi più spendibili sul nostro mercato due figli di papà tedesco e mamma italiana come Aron Hector Schmitz e Kurt Erich Suckert: il primo divenne Italo Svevo, il secondo si fece chiamare Curzio Malaparte. Altri cambiarono nome per omaggiare un paese caro, come Carlo Lorenzini che diventò Collodi, cioè il borgo di cui era originaria la madre, o per tributare un santo e un luogo, come Eric Arthur Blair, che optò per George Orwell: il nome era quello del patrono d’Inghilterra, il cognome era ripreso dal fiume cui lui era affezionato.
In altri casi lo pseudonimo fu funzionale allo sdoppiamento tra professione borghese e anima anticonformista: l’esempio classico è il rispettabile prof Charles Lutwidge Dodgson che, allorché scriveva, si trasformava nello scandaloso Lewis Carroll.
Spesso lo pseudonimo serviva a testimoniare la molteplicità dell’io: è il caso di Fernando Pessoa e dei suoi eteronimi, o di Stendhal che all’anagrafe faceva Marie-Henri Beyle ma in vita adottò circa 350 pseudonimi. Ci sono poi coloro che cambiarono nome per ricordare una persona cara: vedi Alberto Pincherle che scelse Moravia in omaggio alla nonna, o Umberto Poli che diventò Saba, come la sua balia, Peppa Sabaz. E quelli che invece presero un’altra identità per non farsi offuscare da un parente famoso: è il caso di Alberto Savinio, fratello di Giorgio de Chirico. Altri poi hanno realizzato in letteratura il sogno amoroso di fondere due persone in una: Sveva Casati Modigliani è la sintesi di Bice Cairati e di suo marito Nullo Cantaroni, il giallista svedese Lars Kepler non è che lo pseudonimo di Alexander Ahndoril e di sua moglie Alexandra Coelho, e anche dietro Elena Ferrante pare ci sia il lavoro di una coppia…
Ci sono infine quelli che hanno cambiato identità per puro divertissement o per provocazione: Stephen King pubblicò alcuni romanzi col nome di Richard Bachman a mo’ di burla nei confronti del mercato editoriale, mentre il premio Nobel Doris Lessing intendeva denunciare l’ipocrisia delle case editrici: mandò a una di esse un manoscritto con un falso nome, il quale venne tuttavia scartato. Come dire: non sempre usare uno pseudonimo è garanzia di successo.