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 2020  febbraio 22 Sabato calendario

Aborto prima causa di morte nel pianeta

La prima causa di morte a livello globale non è il cancro e non sono nemmeno le malattie cardiovascolari come si è propensi a credere, perché il triste primato va senza ombra di dubbio all’aborto volontario. Una pratica medica e chirurgica che soltanto lo scorso anno è costata la vita a 42,4 milioni di bambini mai nati, un numero enorme di vittime inconsapevoli, anche se i dati ufficiali pubblicati di tali morti prenatali appaiono verosimilmente sottostimati, non considerando gli aborti “invisibili”, quelli per intenderci riconducibili alle interruzioni clandestine di gravidanza, e alla cosiddetta “pillola del giorno dopo” in uso comune già da qualche anno. L’elaborazione statistica è stata fatta e pubblicata da Worldometers, un sito definito «la calcolatrice più potente del pianeta», indicato come uno dei portali più affidabili dall’American Library Association, il quale ha elaborato tali numeri basandosi su dati ufficiali dell’Oms (Organizzazione Mondiale Sanità), rendendo noto che nel 2019, in tutto il mondo, si sono verificati 68,6 milioni di decessi, dei quali 8,2 milioni di persone morte per cancro, 13 milioni per malattie varie, in maggioranza cardiovascolari, 1,7 milioni per Hiv, ed il resto per aborti provocati. Lo studio ha aggiunto che, sempre lo scorso anno, poco meno di un quarto delle gravidanze intraprese (il 23%) sono terminate con una interruzione volontaria, con il risultato che ogni 33 nati vivi, 10 feti sono stati eliminati in fase prenatale, e quei 42,4 milioni di aborti risultano numericamente molti di più delle vittime di tutte le altre malattie e morti accidentali messe insieme. In Italia l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg ) è tutelata dalla legge 194, del 22 maggio1978, una data storica in cui è stata depenalizzata e disciplinata la modalità di accesso all’aborto, fino al giorno prima considerato dal codice penale italiano un reato, ed oggi, a 42 anni dalla sua adozione, il pieno accesso a tale pratica legale resta ancora da garantire pienamente in alcune aree del territorio nazionale, a causa del numero sempre crescente dei medici “obiettori di coscienza” (oltre il 72% dei ginecologi), ed anche il loro status di obiettori è previsto nella legge 194 che lascia al professionista sanitario la libertà di scelta di intervenire, tranne in caso di imminente pericolo di vita della gestante. 

LA FIGURA DEL PADRE
La Cassazione individua nella donna l’unica titolare del diritto di interrompere la gravidanza, senza attribuire alcun peso alla eventuale volontà contraria del padre, poiché per legge non esiste il danno per la lesione al diritto di paternità, anzi, per quanto concerne la figura del padre riguardo all’aborto volontario, è specificato che questi (articolo 5) non possa in alcun modo intromettersi nella decisione di Ivg, che non è titolare di alcun diritto nei confronti del concepito, e sono stati resi noti i dati dell’ultima statistica pubblicata in proposito, risalente al 2008, su 9.500 casi che registravano in quell’anno 3.230 padri contrari (34%), 895 consenzienti (9,42%), e 1.014 indifferenti (10,67%). 
La legge 194 consente alla donna di ricorrere alla Ivg in ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza entro i primi 90 giorni di gestazione, mentre tra il 4° e il 5° mese è possibile ricorrervi solo per motivi di natura terapeutica o patologica. Lo Stato Italiano in pratica, pur tutelando la vita umana dal suo inizio e riconoscendo il valore sociale della maternità, garantisce «il diritto alla procreazione cosciente e responsabile», sottolineando che l’interruzione volontaria di gravidanza non è in alcun modo il mezzo di controllo delle nascite. Nella legge è specificato che il ricorso all’aborto è permesso alla donna, nei primi tre mesi di gestazione, «nelle circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità, comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali, o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito (articolo 4)». 
L’ultima relazione del Ministero della Salute informa che dal 2013 ad oggi, le Ivg eseguite ogni anno in Italia si sono dimezzate, e tale calo generalizzato degli aborti negli ultimi dieci anni è dovuto anche a forme di procedure non ospedalizzate, quali il ricorso alla pillola abortiva RU 486 in day hospital, o l’accesso molto più esteso alla contraccezione d’emergenza (pillola del giorno dopo), la famosa Ella One, anticoncezionale appunto di emergenza assumibile fino a 5 giorni successivi al rapporto a rischio, le cui vendite sono più che triplicate dal 2015, con 14.267 casi ufficiali registrati ed andati a buon fine nel 2017. 
 All’aborto si associano sempre sofferenza e sensi di colpa, e la rinuncia ad una maternità più o meno desiderata è descritta sovente come una scelta obbligata e dolorosa, un trauma ed una ferita insanabile che resta aperta e sanguinante nella vita femminile di chi l’ha praticata, accompagnata a volte da onde di rimpianto, pentimenti e toni cupi, da custodire segretamente nel profondo della coscienza e difficili da rivelare pubblicamente. La letteratura scientifica descrive complicanze di natura psichica in seguito ad una interruzione di gravidanza, che includono fragilità emotiva, ansia, depressione, disturbi post-traumatici da stress, disturbi del sonno, dell’alimentazione, abuso di sostanze e comportamenti inconsciamente autolesionistici, con problemi di salute mentale, ma sono riportati anche casi di molte donne che negano l’esistenza di tali complicazioni, che non hanno rimpianti, e che, pur non dimenticando mai tale decisione estrema, il ricordo della quale riemerge ciclicamente risultando insopprimibile mnemonicamente, non ritengono l’aborto un atto negativo, bensì vissuto come un «sollievo», che si ripropone identico e stabile tutte le volte in cui capita di ripensarci, percepito come la soluzione liberatoria per il recupero di quella serenità ritenuta altrimenti perduta, ed inoltre queste madri mancate rispondono disapprovando gli argomenti espressi dalle indagini psichiatriche suddescritte, definendole tipici esempi di retorica anti-aborto disseminata di luoghi comuni e condita da un linguaggio scorretto e denso di falsità.

ASSENZA DEL PARTNER
Al di là dei numeri spaventosi citati all’inizio dell’articolo, che simulano un ricorso abituale e comune a questa pratica medica o chirurgica, l’interruzione di gravidanza in realtà è fortemente connotata dalla solitudine della donna come causa e come effetto, una decisione che essa assume in prima persona su di sé, in assenza del partner con il quale ha concepito, relegato ad un ruolo marginale od inesistente, una scelta solitaria che mette in gioco dinamiche imprevedibili, dipendenti dalla personalità, dal carattere, dalla stabilità e dalla emotività del soggetto in causa, una scelta che implica necessariamente l’elaborazione della perdita volontaria del feto, sia di quella simultanea e concreta di una parte del Sé, anche se in un primo momento l’evento abortivo può essere percepito e desiderato come un atto «liberatorio». 
Il fatto è che, a 42 anni dal voto parlamentare della legge 194, ancora oggi si chiede alla donna, più o meno velatamente, un atteggiamento disponibile alla fecondazione ed alla prosecuzione di una gestazione anche indesiderata, anche quando quel figlio è già stato psicologicamente abortito nella sua mente fin dal primo giorno, e la madre non se ne sente responsabile e non vuole esserlo, non desidera affrontare la “crisi maturativa” che consegue alla nascita di un bambino, percepita come impegnativa, costrittiva e spropositata in quel momento, vivendo quella interruzione di gravidanza appunto come sollievo o liberazione, benché resti sempre, a livello psicologico, traumatica, totalizzante e soprattutto indimenticabile.