Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  febbraio 22 Sabato calendario

Periscopio

«In macerie il governo Conte». «No problem, adesso arriva la ruspa e le rimuove». Vignetta di ElleKappa. la Repubblica.
La memoria è corta. Viviamo come se esistesse solo il presente. Michele Serra. il venerdì.

Neanche in Cina si va in piazza contro l’opposizione, come hanno fatto le sardine. Francesco Borgonovo. LaVerità.

Salvini e la Meloni, in realtà, non si differenziano un granché: entrambi portano avanti l’agenda di Berlusconi, solo con più aggressività. Pietro Ignazi, politologo dell’università di Bologna. Corsera.

La Meloni deve inventarsi qualcosa di nuovo anche se è difficile interloquire al Nord se sei ancora visto come il partito dei ministeriali romani. Marco Tarchi, docente di Scienze politiche a Firenze. Corsera.

Sono diventato pittore per essere amato, Francis Bacon. il venerdì.

Il mio è un lavoro più di pancia che di pensiero perché, con il passare degli anni, mi sento più sicuro, non di quello che penso ma di quello che sento. E reagisco. Altan (Simonetta Fiori). la Repubblica.

Mi manca la capacità di elaborazione del Pci, non mi mancano le sue ortodossie anche se, ti confesso, le preferisco alle scemenze che sento dire in giro da molti politici. Luciana Castellina, tra i fondatori de il Manifesto (Antonio Gnoli). la Repubblica.

Con colui che, a quel tempo, avrebbe presumibilmente assunto la funzione di ministro della giustizia, Clemente Mastella, Cossiga, al solito, fu esplicito: «Ti consiglio di evitare quell’incarico, ma se proprio non potrai farne a meno guardati bene dal proporre una riforma della Giustizia anche vagamente attinente ai principi dello Stato di diritto. Viviamo in una Repubblica giudiziaria, se ti azzardi a minacciarne gli equilibri, quelli ti arrestano e buttano via la chiave». Sembrava un paradosso, non lo era. Mastella abbozzò una riforma organica della Giustizia, nel 2008 finì sotto processo, il governo Prodi cadde di conseguenza, nove anni dopo Mastella fu assolto. Andrea Cangini. il Giornale.

Viviamo nel paradosso che questo governo ha promesso di fare (non è il primo e non sarà l’ultimo) ciò che nessuna impresa (neanche la più florida al mondo) è in grado di fare: assumere 450mila persone in tre anni. Molti sostituiranno dipendenti pubblici che sono già usciti. Ma conta relativamente poco. Le tasche sono sempre le stesse e cioè quelle del Tesoro: che da una parte pagano le pensioni e dall’altra gli stipendi. Tasche che sono rifornite con le nostre imposte. Ovviamente. Nicola Porro. il Giornale.

Senza preavviso, Georg, amante dei Beatles e dei Pink Floyd, è stato demansionato e messo all’esclusivo servizio del Papa tedesco, dal quale non potrà più allontanarsi. Il tentativo di esiliarlo a Magonza come vescovo è subito abortito per le barricate alzate contro di lui, a causa del suo discutibile carattere, dalla curia locale. Con questa mossa, Francesco si è ispirato al famoso detto di Mao «Colpiscine uno per educarne cento», ma i conservatori, soprattutto quelli tedeschi e africani che si identificano nei cardinali Müller e Sarah, stanno già preparando una rappresaglia. Luigi Bisignani. Il Tempo.

La Rai sta perdendo totalmente la sua identità. Buona parte della prima serata è prodotta in outsourcing, uno sfregio agli 11 mila dipendenti interni e ai 1.770 giornalisti. Vuol dire che la burocrazia ha stravinto su uomini e prodotti. Ebbi delle furibonde litigate con il d.g. Pier Luigi Celli su questo. Lui sosteneva che la Rai è un’azienda di processo, non di prodotto. Gli risposi: manda in onda le tue circolari e i tuoi fogli Excel, se fanno il 30% di share hai ragione tu e torto io. E me ne andai a Stream, poi diventata Sky. Giovanni Minoli (Stefano Lorenzetto). Corsera.

Il vero coccodrillo, redatto cioè prima dell’evento funesto, riflette i rancori tra contemporanei. Ci sono quindi coccodrilli risentiti che trattano il morente da vivo e gli levano la pelle. Li sconsiglio perché, a morte avvenuta, l’autore si pente e precipita nel magone. Ci sono i coccodrilli malapartiani, ossia quelli di Curzio Malaparte che, esaltando il morto in questione, ne denigra un altro che gli è antipatico, in genere Ugo Ojetti, definito «meno capace, meno signore, più vigliacco». Giancarlo Perna. LaVerità.

Ho conosciuto molto bene anche Giorgio La Pira: da ateo, lo ricordo così: aveva occhi come vulcani, era un mistico. Possedeva il senso della giustizia, indispensabile al bene supremo della libertà. Bruno Segre, 101 anni, avvocato di Torino, nessuna parentela con Liliana Segre (Maurizio Crosetti), il venerdì.

E pensare che la fortuna di Scandicci (Firenze), diventata la città del lusso, nasce da una disgrazia, come spesso accade nella vita. Siamo negli anni 60 e la Firenze travolta dall’Arno impazzito, viene abbandonata da intere famiglie di artigiani che avevano perduto nel fango i loro laboratori. Cercavano un posto per ricominciare e lo trovarono a sette chilometri dai rioni pratoliniani in cui erano cresciuti, in fondo a un’antica strada consolare diventata la spina dorsale di un paese in crescita impetuosa. Dal 1955 al 1971, Scandicci passa da 15 mila a quasi 48 mila abitanti, uno degli incrementi demografici più massicci del dopoguerra. E qui gli artigiani del post alluvione del 1966 ripartono dal loro mestiere. Lavorano la pelle, la trattano, la rimodellano fino a trasformarla in borse, cinture e scarpe che guadagnano credibilità sul mercato. In Italia e all’estero. Si produce a ciclo continuo e quando i più giovani si tagliano con il trincetto, gli anziani non si turbano: è il segnale che iniziano a impadronirsi del mestiere. «Prima ai figli si diceva: studia o vai in pelletteria; ora invece: studia e vai in pelletteria», dice Sandro Fallani, quarantottenne sindaco pd di Scandicci. Tutti a scuola. Gianluca Monastra. il venerdì.

Tra le eredità del Sessantotto, dell’autunno caldo e degli anni formidabili, c’è il cosiddetto comitato di redazione (cdr), termine vagamente para-sovietico che designa la rappresentanza sindacale dei giornalisti all’interno di ciascun giornale. Michele Brambilla, Sempre meglio che lavorare – Il mestiere del giornalista. Piemme, 2008.

Nell’Alcazar le telescriventi continuano a vomitare, tra l’indifferenza dei giocatori di scopone, serpenti di catastrofi, quotazioni di Borsa, verifiche politiche ed elezioni di Miss, che calano sul pavimento, strisciano sui piedi e oltrepassano la soglia. Guglielmo Zucconi, Il cherubino. Camunia, 1991.

Il mondo non inizia e non finisce con noi. Marcello Veneziani. Dispera bene. Marsilio, 2920.

Conte: solo me ne vo per la città. Roberto Gervaso. il Giornale.