Il Messaggero, 22 febbraio 2020
Giuseppe De Rita ha fatto otto figli «per allegria»
Otto figli, «per allegria». Giorgio, Betta, Cecilia, Alessandro, Daniele, Andrea, Lorenzo e Giulio. E quattordici nipoti, «pochi, mi sarebbe piaciuto averne di più, ma gli ultimi tre figli hanno scelto di non mettere su famiglia». Giuseppe De Rita, sociologo e fondatore del Censis, a 87 anni è ancora «un padre richiesto».
Una famiglia d’altri tempi, la sua.
«É stata una reazione alla logica dei genitori, i miei e quelli di mia moglie, che si sono fermati a due figli. A noi piacevamo molto i bambini e non pensavamo certo al calo demografico, non ci lasciavamo condizionare dalla situazione economica. Noi l’abbiamo fatto per voglia di vivere e per allegria».
Avete affrontato molti sacrifici per crescere otto figli?
«Il Censis a volte non mi ha fatto dormire la notte, i figli mai. Tra il secondo e terzo è cominciata l’avventura del centro studi. Le famiglie erano preoccupate: ci avete pensato bene? Ci saranno degli stipendi da pagare. Ma noi siamo riusciti a portare avanti famiglia e azienda e devo ammettere non mi sono sacrificato più di tanto. Qualche angoscia l’ho vissuta semmai sul lavoro».
Perché secondo lei le nascite sono così in calo?
«Semplice: non si sente la gioia di avere figli. Si tratta di un’opzione personale e non si possono cercare alibi del genere: il lavoro è precario, ci vorrebbero i bonus bebè, mancano le tutele per le lavoratrici. La razionalità è importante, non lo metto in dubbio. Ma la molla per mettere al mondo i figli è affettiva, non è una decisione razionale. Non condivido la linea di chi sostiene che alla base del fenomeno della denatalità ci siano difficoltà economiche e sociali. Il meccanismo è soggettivo, la scelta riguarda il singolo. I vincoli della società non c’entrano nulla. Il motivo è: non mi va, non mi interessa di avere figli».
E cosa c’è alla base di questo orientamento?
«Abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo un cambiamento culturale: cresce il tasso di soggettività. Avanza l’idea del primato del soggetto, incapace di guardarsi intorno, sempre più incentrato su se stesso. La decisione di non fare figli è in fondo narcisista, non si vogliono vincoli e distrazioni. Anche quella di farne tanti, mi viene rimproverato, è narcisista. Lo sono pure io, vero, ma per allegria».
Quali saranno le conseguenze?
«Gravi. La società che si rinserra nell’egoismo e nell’individualità tende a seccarsi. La vita di una società è fatta di relazioni. Quando nascono i figli ci si libera dal primato del soggetto e si comincia a guardare al di fuori di se stessi. La famiglia nasce quando si rompe la relazione io-io e subentra quella io-noi. Ma oggi la società nega le relazioni. Basta pensare al movimento nato sull’onda del Vaffa che è la negazione di ogni relazione. Stiamo diventando una società povera a livello dei rapporti interpersonali».
Lei che padre è stato ed è?
«Finché i miei figli hanno avuto 10, 12 anni mia moglie era più presente di me. Dopo i 15 anni sono stato un padre richiesto. Sono i figli che chiedono l’interessamento del padre e non i padri che gli stanno addosso. Io sono tuttora un padre richiesto».