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 2020  febbraio 22 Sabato calendario

L’Italia è pronta ad affrontare una pandemia?

L’Italia è pronta ad affrontare l’emergenza, ma lo tsunami di una vera e propria pandemia sarebbe difficile da fronteggiare. «Siamo uno dei pochi Paesi al mondo a disporre di reparti e specialisti di malattie infettive, con 2739 posti letto in circa 125-130 strutture: se arrivasse una ondata di decine o centinaia di casi il sistema sarebbe in grado di assorbirli. Se l’ondata fosse formata da migliaia di casi servirebbero misure eccezionali, da catastrofe. Io credo che ci troveremo nella necessità di gestire piccoli focolai collegati tra loro per i prossimi giorni o settimane: quello che succederà tra un mese però non lo so dire». Marcello Tavio, presidente della Societa Italiana Malattie Infettive e Tropicali (Simit) parla di «situazione vicina alla pandemia», con «una piccola ma significativa epidemia a Codogno da affrontare con mezzi eccezionali» e il resto del Paese senza evidenza di altri focolai epidemici in cui il massimo livello di allerta non deve corrispondere al panico. «Non serve chiudere le scuole, bloccare le partite, non andare al cinema o auto-recludersi». 
Se tuttavia il numero di infezioni da coronavirus aumentasse rapidamente, il sistema potrebbe non reggere. Oggi infatti i reparti di malattie infettive, benché diffusi sul territorio, hanno già un elevato tasso di occupazione e un aumento improvviso di pazienti potrebbe farli collassare. Nel 2013, anno di pubblicazione del Libro bianco Simit, erano stati oltre 51mila i pazienti per 2.333 posti, con il 58per cento dei letti occupati e un tempo di degenza media di 11,7 giorni. Cosa succederebbe quindi se i ricoveri dei malati affetti da coronavirus aumentassero in modo esponenziale? «I letti in isolamento e le stanze a pressione negativa ci sono, non dobbiamo costruire niente, non servono nuove strutture – afferma Tavio – serviranno invece protocolli per liberare posti letto trasferendoli in reparti in cui sia possibile seguire i pazienti con analoga cura. E già oggi in tutti i reparti di Malattie infettive è possibile seguire i pazienti come allo Spallanzani di Roma o al Sacco di Milano. Anche gli intensivi, perché la polmonite da coronavirus non è diversa dalla polmonite da influenza». L’obiettivo dunque è migliorare il collegamento tra i vari "nodi" della rete. Con il passare delle settimane per esempio, i test che prima erano affidati unicamente al laboratorio dello Spallanzani ora, spiega, possono essere eseguiti nei laboratori di riferimento regionali, che poi possono inviarli all’Istituto nazionale per le Malattie infettive e all’Istituto superiore di sanità solo per la conferma, accorciando così i tempi. «Ma bisogna mettere mano seriamente ai piani di preparazione pandemica» avverte l’epidemiologo Pierluigi Lopalco, professore di Igiene all’università di Pisa. «Prepararsi a una pandemia – sottolinea – significa fare esercitazioni e simulazioni in ogni ospedale, prevedere spazi e percorsi per pazienti che necessitano isolamento respiratorio in terapia intensiva e personale che ha e sa usare i dispositivi di protezione individuale». 
Come dimostrano i casi degli italiani rientrati da Wuhan, ospitati nella cittadella della Cecchignola di Roma, e ora quello di Codogno, una eventuale infezione di massa potrebbe essere fronteggiata utilizzando strutture militari. Ieri dopo i casi accertati in Lombardia e Veneto, la Difesa ha reso disponibili per la quarantena in 60 posti presso il Comando Esercito di Milano e 130 presso l’ex base del 50º Stormo in San Polo di Podenzano (Piacenza). Per ridurre i rischi, la Società italiana di medicina ambientale (Sima) chiede tuttavia misure più rigorose, dallo screening dei passeggeri in arrivo in Italia da qualunque destinazione, al blocco dell’accordo tra Cina e Regione Toscana per il rientro di 2.500 cinesi a Prato «o stringente quarantena di 21 giorni con sorveglianza sanitaria in caso di rientro in Italia». 
(ha collaborato Paolo Russo)