il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2020
Cerno lascia il Pd e si scorda il debito
Tommaso Cerno è tornato da Renzi. Una scelta sofferta, procrastinata per mesi e sicuramente scaturita da nobili tensioni ideali. Eppure ci tocca scrivere di vil denaro. Infatti nella battaglia intellettuale ingaggiata da Cerno contro il suo ex partito – e contro una delle sue molteplici personalità – c’entrano pure i soldi: quelli che il neorenziano ha omesso di versare al gruppo con cui è stato eletto. Il 4 marzo 2018 il neo-acquisto di Italia Viva era entrato in Senato grazie alla candidatura ritagliata per lui dai democratici in uno dei collegi di Milano. Il regolamento è lo stesso per tutti gli eletti: chi entra in Parlamento si impegna a versare una quota mensile del proprio stipendio al partito (che dall’abolizione del finanziamento pubblico vive in condizioni economiche molto precarie). L’obolo è di 1.500 euro al mese.
Si può discutere sull’opportunità di questa forma di sostegno alla politica (io ti faccio eleggere e tu mi risarcisci per il tuo seggio) ma è un impegno – peraltro trasversale a partiti e Movimenti – che tutti gli onorevoli dem sottoscrivono al momento della candidatura.
Cerno, per sua stessa ammissione, è insolvente. Ed è stato addirittura lui a lamentarsene mercoledì pomeriggio, ospite in radio di Un giorno da pecora, con un’uscita in odore di situazionismo: “Si chiama pizzo, hanno chiesto il pizzo”. Il senatore si sente vittima di estorisione, insomma. E ce l’ha con la segretaria del Pd di Milano, Silvia Roggiani: “Ha detto che se andavo con i 5 Stelle non capivo niente… la segretaria, questa che faceva la portaborse della Toia. Faceva la portaborse di un’europarlamentare e fa il segretario di Milano… Dopo avermi chiesto il pizzo di 18 mila euro, mi ha detto ‘buona fortuna’. Si chiama pizzo, i soldi per parlare, per esprimere il proprio pensiero”.
Il pizzo – Cerno ne è consapevole – è una realtà drammatica, difficile da associare alla condizione di un parlamentare. Le sue parole sono state criticate, ovviamente, da tutto il Partito democratico, e la Roggiani ha annunciato querela.
Quello che Cerno non dice è che il suo debito non è nei confronti del Pd milanese ma di quello nazionale. E che la somma è molto più alta dei 18mila euro dichiarati in radio. Lo confermano dalla tesoreria del Pd: il contributo mensile dei parlamentari è di 1.500 euro. E Cerno è completamente insolvente. Significa che da marzo 2018 a oggi all’appello mancano 22 o 23 mensilità (a seconda che si conteggi o meno anche febbraio 2020): il senatore deve al Pd tra i 33mila e i 34.500 euro.
Cerno è peraltro l’unico dei “transfughi” che hanno lasciato il Nazareno per raggiungere Renzi e Italia Viva a non aver ancora regolarizzato la sua situazione.
Cerno è stato sollecitato al pagamento alcuni mesi fa per l’ultima volta, ma non ha risposto. In quel periodo era ancora convinto di restare nel Pd. “Sarebbe alquanto strano togliermi di mezzo ora”, disse al momento della nascita di Italia Viva. Anche perché finalmente “i dem sono venuti verso chi, come me, pensava che il futuro della sinistra fosse un big bang con i Cinque Stelle”. Poi ha cambiato idea, è stato di nuovo abbacinato dal fascino decadente del renzismo. La battaglia delle idee non ha prezzo.