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 2020  febbraio 21 Venerdì calendario

Intervista a Jane Fonda

“Hanoi Jane” ha i capelli bianchi, è nonna, non smette di farsi sentire. Indomabile e bella, Jane Fonda a 82 anni è stata arrestata più di una volta nei mesi scorsi («ho perso il conto», ride) per disobbedienza civile nel corso di proteste ambientaliste a Capitol Hill, a Washington. L’abbiamo vista pochi giorni fa alla notte degli Oscar annunciare il vincitore del miglior film (Parasite). Ora torna a parlare di Vietnam dopo la proiezione del documentario FTA, girato nel 1972, prodotto dalla stessa Fonda con Donald Sutherland. All’epoca FTA era l’acronimo di Fuck the Army ("al diavolo l’esercito") urlato dai pacifisti che avevano rivisitato a modo loro quel FTA che invece stava per "Fun, Travel and Adventure" ("divertimento, viaggi e avventure"), lo slogan usato per incoraggiare le reclute per il Vietnam. FTA, Free The Army ("Liberate l’esercito") come la regista Francine Parker lo aveva intitolato per evitare polemiche, racconta il tour che Fonda e Sutherland — avevano appena recitato in Una squillo per l’ispettore Klute di Alan J. Pakula — fecero a inizio anni Settanta in alcune basi militari in America, Filippine e Giappone. Uno show, e una riflessione polemica sulla guerra. L’attivismo è una costante nella vita dell’attrice, un impegno iniziato negli anni 60, adattato alle urgenze più attuali, mai abbandonato. FTA restaurato da Indie Collect con un finanziamento della Hollywood Foreign Press, l’associazione della stampa estera a Hollywood, è stato presentato all’Egyptian Theater dell’American Cinematheque, a Hollywood, accolto da ovazioni del pubblico.
Cos’è che la spinge ancora a combattere fino a farsi arrestare?
«Stiamo affrontando la più grave crisi mai attraversata. Vedo quanto i giovani si sacrificano e s’impegnano per l’ambiente. Gli arresti sono stati l’ultima risorsa. Da mesi inviavamo petizioni chiedendo una reazione al governo. Ci siamo visti costretti a usare la disobbedienza civile».
Continua a mettere la sua popolarità al servizio di una causa.
«Sono bianca e famosa. Se fossi non famosa e di colore, ciò che faccio non avrebbe la stessa attenzione. L’obiettivo è bloccare l’espansione di ogni combustibile fossile. Possiamo avere pannelli solari e mulini a vento e idroelettrici ma se continuano a scavare e a emettere biossido sarà la fine».
"FTA" è un salto nel tempo.
«Racconta una pagina del movimento contro la guerra in Vietnam che pochi conoscono. Sparì dalla circolazione per ordine, ne sono convinta, dell’allora presidente Nixon. Ciò che lo preoccupava di più era il movimento all’interno dello stesso l’esercito americano».
Cosa la spinse a fare il tour e il documentario?
«Sapevo che tra i soldati c’era un sentimento forte contro quella guerra. Io non sopportavo Bob Hope che andava a fare gli spettacoli per i militari in Vietnam e sosteneva che le bombe fossero il modo migliore per "fare pulizia". E tutti ridevano. Quando Sutherland e io venimmo invitati a fare uno show per le truppe, aderii con entusiasmo. Già dal 1970 la gran parte dei soldati non credeva più in quella guerra, considerata una follia anche dalla stampa moderata come il Saturday Evening Post o il Wall Street Journal».
All’epoca gli show e le marce di protesta. Oggi che ha spostato l’attenzione sull’ambiente, che cosa fa personalmente per sostenere la causa?
«Ha presente il cappotto rosso che indossavo durante le proteste in autunno? È l’ultimo capo di abbigliamento che abbia acquistato. Mi serviva una cosa rossa ed era in saldo, ma non comprerò altro. Non voglio più essere vittima di un consumismo esagerato. Spero di diventare un modello per i giovani. Ho eliminato la plastica, guido un’auto elettrica e da uso pannelli fotovoltaici».
Una nuova vita.
«L’attivismo mi da speranza. Di recente ho sofferto di depressione, sentivo di non fare abbastanza. Ora capisco di poter fare la differenza. Mi sento più forte, ottimista. Il futuro del pianeta è a rischio. Non c’è altro che importi».