la Repubblica, 21 febbraio 2020
Intervista a Carofiglio, candidato allo Strega
Gianrico Carofiglio va allo Strega. La candidatura del suo ultimo romanzo, La misura del tempo (Einaudi Stile libero), è stata presentata da Sabino Cassese. "Sotto le vicende del libro - è la motivazione - si nasconde un vero e proprio "conte philosophique". Dietro l’apparenza del "giallo" si celano insegnamenti profondi: la pluralità dei punti di vista; i diversi modi in cui si presenta la realtà; l’invito a dubitare della verità stessa".
Una petizione di senso culturale, dunque, che va oltre la competizione per aggiudicarsi il premio letterario più importante d’Italia. Che spazza via la distinzione tra romanzo di genere e romanzo letterario, antica e ricorrente quanto irrilevante per chi crede che un libro sia, semplicemente, bello o brutto, e che quella dell’avvocato Guerrieri, protagonista di questo e altri romanzi di Carofiglio, sia semplicemente una storia ben scritta e ben raccontata.
Carofiglio che cosa ne pensa? "Credo che certe classificazioni siano solo un modo per sottrarsi al dovere di pensare, interpretare, capire. Scusi l’ovvietà ma un romanzo si valuta leggendolo, non usando categorie preconcette, spesso banali. Ci torniamo, se vuole". Ci torniamo, ma intanto chi glielo fa fare allo scrittore vivente più letto in Italia di correre per lo Strega? Carofiglio si limita a sorridere.
Nato a Bari, 58 anni, ha almeno due vite alle spalle: magistrato e senatore. La terza è quella di scrittore. È cominciata nel 2002 con Testimone inconsapevole ed è arrivata, dopo 15 romanzi, due raccolte di racconti e cinque saggi, a La misura del tempo, presentato allo Strega da un uomo di diritto come Carofiglio e come lui appassionato di letteratura.
Ora l’onere della prova passa al comitato direttivo del premio che deciderà entro il 15 marzo chi saranno i 12 scrittori che correranno per la cinquina. Ma intanto lo Strega porta a casa un primo risultato: avere affascinato anche un autore bestseller da sei milioni di libri, è tradotto in 29 lingue, che all’estero, dal Times all’Economist, al Nyt, al Nouvel Observateur, al New Yorker, ha avuto riconoscimenti più che espliciti: "Le storie di Carofiglio sono allo stesso tempo letterarie ed appassionanti. La sua capacità di penetrare la natura umana, nel bene e nel male, lascia senza fiato".
Non si può dire che lei non goda già di un discreto successo. Immagino sia appagante.
"Ci creda o no: detesto la parola successo, per molte ragioni. Detesto l’aura di compiacimento che si porta dietro. L’antidoto è il senso del ridicolo, cioè la capacità di cogliere il ridicolo in noi stessi. A volte accadono degli eventi che ci aiutano a mantenere viva la vigilanza contro l’ebbrezza narcisistica".
Per esempio?
"L’altro giorno a Roma sento una voce sconosciuta che mi chiama con tono amichevole: Gianrico! Mi volto, preparandomi a sorridere - compiaciuto, appunto - e a prendermi qualche complimento da un lettore appassionato. Quello invece fa partire una pernacchia e poi scappa via. Sono rimasto interdetto per qualche secondo, poi ho pensato che involontariamente mi aveva fatto un piacere. Ciò detto: c’è una manifestazione del cosiddetto successo che mi piace e che non vorrei perdere".
Cioè?
"Sono felice che i miei libri vengano letti da persone - da tipologie di lettori - diversissime. Mi piace che ci siano letture a tanti livelli diversi, tanti diversi significati".
Torniamo alla questione del genere. Non che il noir sia un genere minore, anzi. Simenon, Chandler, Durenmatt, Sciascia, Gadda, Fruttero e Lucentini...
"In realtà il discorso è ancora più ampio. Se qualcuno scrivesse oggi una storia con la struttura e i personaggi di Delitto e castigo si direbbe che è un noir psicologico. Stesso discorso per l’Edipo Re, o per Amleto, di cui, proprio in una atipica riflessione sul noir, si è occupato Pierre Bayard, brillantissimo studioso francese. Parlando della - già allora - stucchevole questione del genere e della cosiddetta letteratura senza aggettivi Chesterton diceva che i libri si dividono in due sole categorie: quelli scritti bene e quelli scritti male. Non c’è molto altro da dire".
Qualche tempo fa Robinson ha pubblicato un dialogo tra lei e Antonio Moresco proprio sulla crime story: sembra quasi che la sua candidatura allo Strega tiri le conclusioni di quel ragionamento.
"Così mi hanno raccontato. Pare che alcuni Amici della domenica (la giuria dello Strega ndr) abbiano letto il pezzo abbiano avuto quest’idea, per complicarmi la vita nei prossimi mesi" (Ride).
Di che cosa parlano i suoi libri?
"Difficile dirlo. Due temi su cui penso di essere tornato spesso sono tipicamente junghiani: l’ombra e la sincronicità".
La sincronicità è più o meno questo: io penso a una persona e in quell’attimo la incontro oppure mi telefona. L’inconscio delle due persone è legato in un modo difficilmente spiegabile. Questo è noir, è d’accordo?
"Questo è letteratura. È il grande tema dell’ombra che abbiamo dentro come esseri umani. La scrittura è andare nelle zone oscure, nella soffitta o nel sottoscala della coscienza. Lì dove ci sono le cose di cui abbiamo paura, di cui ci vergogniamo, da cui vorremmo distogliere lo sguardo".
Che cosa è il male?
"Il male è male se non è integrato. Bisogna saper accettare l’idea a volte insopportabile che anche persone care siano capaci di pulsioni terribili".
Lei ha fatto il pubblico ministero. Le ripeto la domanda: che cosa è il male?
"Facendo il pm si sperimenta una condizione che dà la vertigine: sei su un crinale in cui sei esposto a pulsioni molto forti e potresti pensare che sei libero di giudicare. In realtà il tuo dovere principale è non giudicare: hai un compito tecnico, non sei l’arbitro del bene e del male. Si impara a vivere con estrema ritrosia quel ruolo. Io ho chiesto decine di ergastoli e centinaia e centinaia di anni di carcere. Alla fine dei processi, dopo le condanne i giornalisti mi chiedevano se ero soddisfatto. No che non lo ero: è immorale esserlo per delle persone condannate. Questo credo sia passato direttamente nella scrittura".
Che cosa è morale?
"Ci sono due registri morali. Uno è, come diceva Primo Levi, l’etica della parola, non una di più non una di meno: dobbiamo rendere conto di quello che scriviamo, illuminare le zone d’ombra. Questo non significa scrivere poco né significa eliminare dalle pagine l’oscurità necessaria. Ci sono periodi di Bolano che durano sei pagine: quelli sono oscurità necessaria. Insomma, niente trucchi. Il trucco è immorale in letteratura".
E l’altro registro?
"I contenuti, percepire la dimensione morale senza moralismo. E dire la verità attraverso lo strumento della finzione".
Mi faccia un esempio.
"L’opera che cito sempre per chiarire questo concetto è La metamorfosi di Kafka: c’è dentro tutto, il reietto in famiglia, il rapporto doloroso con il padre... Ora, non si può dire che quella di un uomo che si trasforma in un insetto sia una storia realistica. Eppure ciò che Kafka racconta è molto più capace di dire la verità su questi temi di quanto lui stesso scrive in chiave direttamente autobiografica, nella Lettera al padre".
Dove sono gli intellettuali oggi e che cosa dovrebbero fare?
"Produrre senso, capacità di decifrare il mondo. L’idea populista che il mondo si divida in buoni e cattivi, amici e nemici, è falsa. D’altro canto un grave errore della sinistra è sottovalutare la paure. Le paure vanno inserite in un ragionamento complesso, vanno riconosciute. E ad esse vanno date risposte non bestiali. Umane".
In concreto?
"Torniamo al discorso sull’ombra. Se tu sei depresso e ti dico in modo razionale che non hai ragione di esserlo, tu soffri molto di più perché non ti senti compreso, ti senti in colpa perché io ti sto dicendo, in pratica: non hai diritto al tuo malessere. Dovrei invece dirti: lo capisco che soffri, vediamo che fare. Invece la ricetta populista è fatta di ansiolitici, rimanda a un passato mai esistito, richiama un nemico e legittima le pulsioni dicendo: hai ragione ad avere rancore".
Carofiglio, lei è un uomo felice?
"Felicità è una parola difficile. Possono esserci momenti, quelli si riconoscono".
Quali?
"A parte quelli legati agli affetti privati, ne cito due: quando superai gli scritti del concorso in magistratura e quando mi chiamò Elvira Sellerio il 14 maggio del 2002 per dirmi che avrebbe pubblicato il mio romanzo. Ricordo che andai in una libreria di Bari a sfogliare i libri Sellerio immaginando come sarebbe stato il mio".
È un uomo soddisfatto?
"Soddisfatto è un’altra parola che non mi piace".
Per questo va allo Strega? La sua precedente esperienza nel 2012 fu seguita da qualche polemica.
"Ci fu qualche tono un po’ improprio ma tutto si è concluso con una donazione a Save the Children - su mia richiesta - da parte del controinteressato. Siamo stati d’accordo sul fatto che fosse il modo migliore di archiviare il piccolo incidente".
Che cosa sta leggendo?
"In questo periodo solo scrittrici: Rachel Cusk e il premio Nobel Olga Tokarczuk".
Che cosa pensa di Sandro Veronesi, candidato favorito, almeno fino a questo momento, allo Strega?
"Un bravissimo scrittore. Mi piace molto come maneggia la parola. Anche una persona umanamente molto gradevole".
Che cosa succede se lei perde?
"Direi di fare un passo alla volta: prima vediamo se mi ammettono alla dozzina. Ciò detto, sui temi del cosiddetto successo e del cosiddetto fallimento mi viene da citare un grande pensatore del Novecento, Diego Armando Maradona: i rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli".