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 2020  febbraio 21 Venerdì calendario

Salviamo il giardino Rea, meraviglia botanica

Ci sono modi molto facili di preoccuparsi dell’ambiente e delle piante. E anche parecchio disinvolti: alla propaganda verde importa poco l’impegno saggio e operoso delle formiche, preferisce il canto suadente di chi offre miraggi veloci a consumarsi. 
Piantare migliaia di alberi in pochissimo spazio, osannare giardini posticci che lottano contro la gravità sono slogan all’ordine del giorno. Mentre via via l’interesse per ciò che si è costruito nel tempo, la valorizzazione e il sostegno sbiadiscono sotto i colpi di amministrazioni sempre più assenti e sedotte dai sensazionalismi. Come se la vera tutela non passasse innanzitutto attraverso il duro lavoro, i piccoli passi, la fatica del mantenimento quotidiano. Soprattutto come se la conoscenza desse molto fastidio, facesse quasi paura... Che nel nostro Piemonte un giardino ben noto, di indiscusso valore scientifico e di proprietà regionale sia ad un passo dalla chiusura per totale disinteresse e mancanza di fondi è uno scandalo che dovrebbe risuonare assordante. 
E invece c’è solo silenzio: il Giardino Botanico Rea, a San Bernardino di Trana in Val Sangone, è sì un’autentica wunderkammer botanica, un testimone prezioso della flora autoctona delle nostre valli, ma ancor prima è uno dei pochi superstiti di una storia giardiniera straordinaria e tutta piemontese, un’epoca d’oro così vicina e al contempo lontana da farci impallidire al confronto. Ecco un validissimo esempio di quella micro-cultura del territorio che oggi pare e a ragione la nostra unica salvezza: perché dunque non farne anche un piccolo e locale museo del giardino? Quanti ricordano il grande successo di Flor 61 o le eccellenze della Scuola per Giardinieri fondata a Torino da Giuseppe Ratti? O gli invidiati cataloghi dei vivai Giacomasso, Asteggiano, Gilardi e via dicendo? Negli Anni 50, 60 del secolo scorso eravamo una vera avanguardia e la Val Sangone riuniva in pochi chilometri tutti questi fermenti. 
Accanto ai vecchi giardini stracolmi di ortensie blu, gloria del buon giardinaggio d’antan da Giaveno a Coazze, facevano bella mostra di sé il visitatissimo giardino del Cavalier Ratti e proprio accanto, beneficiati dal medesimo speciale microclima, i vivai di San Bernardino, pionieristica raccolta di erbacee perenni messa insieme da Giuseppe Giovanni Bellia nel 1961. 
Qualche anno dopo il vivaio si trasformò in giardino di acclimatazione, che prese il nome di Rea in onore del botanico piemontese Giovanni Francesco Re, studioso della flora della Val Susa e Sangone verso gli inizi dell’Ottocento. 
Ricordo bene il contrasto tra i due mondi: ridondante, scatenato e quasi aggressivo nei suoi colori il giardino Ratti (detto allora l’ettaro più fiorito d’Europa), rarefatto, sottinteso e spesso ironico quello del Bellia. Tanto il primo «prendeva» e quasi spaventava (almeno i giovani della mia generazione), tanto il secondo attraeva: si scappava di là per rifugiarsi di qua. L’esuberanza di vasi e vasetti, la nomenclatura perfetta e ben comprensibile, il padrone di casa col suo camice bianco ed immacolato mettevano subito a fuoco la diversa funzione. La bellezza del posto, l’intensità botanica erano alleggerite e nello stesso tempo rese più interessanti dal forte senso scientifico. Le specie erano più di 2.500, un «Bollettino d’informazione» annuale raccontava le sperimentazioni in corso e aggiornava il catalogo floristico della valle, un indice dei semi permetteva il dialogo con gli Orti Botanici di tutta Europa.
Il giardino Rea era un importantissimo posto di incontri, giovani allievi si affacciavano di continuo, vi lavorarono per lungo tempo Giuseppe Ariello e Maria Luisa Sotti dediti a continue ricerche e approfondimenti. Le piante provenivano da ogni angolo del mondo, famose erano (e sono!) soprattutto la collezione di fucsie e quella di iris rizomatosi, con alcune cultivar ibridate nello stesso giardino e con una raccolta di specie spontanee locali. Tutto questo patrimonio, acquisito dalla Regione nel 1989, gestito dalla Comunità Montana e messo a servizio del Museo di Storia Naturale di Torino (altra tristissima vicenda...), è giunto intatto sino a oggi. Soltanto le cure speciali e quasi eroiche di chi ci lavora da una vita (e da sei anni senza più alcuna sovvenzione regionale, da gennaio poi senza neanche la garanzia di uno stipendio...) l’hanno salvato. Con l’aiuto dell’associazione di volontari Amici del Giardino Botanico Rea le collezioni sono state addirittura implementate, le attività migliorate, le visite aumentate. Il tutto mentre è in corso un costoso progetto regionale per rendere il giardino energeticamente autosufficiente: quel giardino del cui futuro proprio la stessa Regione pare palesemente disinteressarsi. Un inspiegabile cortocircuito sul quale sarebbe il caso di far luce e chiarezza. Ai responsabili l’ardua risposta, a noi giardinieri la strenua difesa.