Il Sole 24 Ore, 19 febbraio 2020
La Spagna dice sì alla web tax. Trump minaccia dazi
Per rinnovare il sistema fiscale e per fare qualcosa di sinistra. Il governo spagnolo del socialista Pedro Sanchez ha deciso ieri, con il pieno appoggio degli alleati di Unidas Podemos, di sfidare gli Stati Uniti e i mercati finanziari introducendo due nuove misure fiscali: la cosiddetta Google tax che colpisce i big di internet e sulla quale già altri Paesi europei si erano mossi autonomamente; e una tassa sulle transazioni finanziarie, che ha l’ambizione se non la portata della Tobin tax della quale si discute da anni.
«Abbiamo la necessità di modernizzare e adattare il sistema tributario spagnolo, rimasto ancorato al ventesimo secolo, alle nuove realtà economiche del secolo e dell’economia attuali», ha detto il ministro delle Finanze, Maria Jesus Montero. Queste due misure, secondo le previsioni del governo, porteranno a entrate per un totale di oltre 1,8 miliardi di euro all’anno.
L’imposta sulle attività digitali dovrebbe fare incassare allo Stato spagnolo 968 milioni di euro all’anno, meno di quanto aveva immaginato il governo l’anno scorso, quando già la misura era stata vicina ad essere introdotta, «a causa soprattutto del rallentamento dell’economia globale e guardando all’impatto che stanno avendo misure simili in altri Paesi», ha detto Montero. Le grandi società che operano attraverso internet – come Google, Facebook, Amazon, Apple e Twitter – «vedranno tassati con una aliquota del 3% i loro ricavi (per la fornitura di servizi pubblicitari, l’intermediazione di servizi online e la vendita di dati forniti dall’utente nell’ambito di una prestazione di servizi). La tassa si applicherà alle società con almeno 750 milioni di euro di entrate globali e vendite digitali di almeno 3 milioni di euro nel Paese.
Anche la Spagna, come la Francia e il Regno Unito, ha scelto di introdurre l’imposta digitale senza attendere la definizione di una misura comune alla quale si sta lavorando all’Ocse e all’interno del G-20. Montero ha tuttavia confermato che «per quest’anno la riscossione non avverrà ogni trimestre ma in un’unica soluzione che non sarà effettuata fino al prossimo dicembre» al fine di «lasciare spazio a un accordo internazionale e dare tempo alle aziende per adattarsi». Per contrastare la Gogle tax, gli Stati Uniti di Donald Trump, dove hanno sede molti dei maggiori gruppi tecnologici globali, hanno annunciato rappresaglie commerciali contro i Paesi che la introdurranno, arrivando a minacciare dazi del 25% sulle auto prodotte nell’Unione europea. Montero ha voluto sottolineare che la nuova imposta oltre a recepire eventuali accordi internazionali «non farà alcuna discriminazione in base alla nazionalità o al tipo di azienda» e ha poi detto di non essere preoccupata per possibili ritorsioni da parte degli Usa con i quali la Spagna mantiene relazioni «fluide». «È semplicemente una tassa che sta cercando di rispondere a una realtà economica che fino a circa un decennio fa non esisteva», ha detto il ministro spagnolo.
La Tobin tax alla spagnola dovrebbe invece garantire entrate fiscali per 850 milioni di euro all’anno. Secondo il disegno di legge approvato ieri dal Consiglio dei ministri, la tassa dovrebbe colpire con un aliquota dello 0,2% le transazioni di azioni di società quotate con una capitalizzazione di mercato superiore al miliardo di euro (circa 60 in tutta la Spagna secondo i dati di Refinitiv). E sarà pagata «dall’intermediario che esegue l’ordine di acquisto». L’imposta sulle transazioni finanziarie risponde anche a un’esigenza di equità, molto cara alla sinistra estrema di Unidas Podemos: «Il settore finanziario – ha detto Montero – ha infatti ricevuto sostegno durante la crisi dalle pubbliche amministrazioni».
Per la Google tax e per la Tobin tax alla spagnola inizia ora il percorso in Parlamento, che tuttavia non dovrebbe presentare particolari intoppi, e oltre a trovare il sostegno (indispensabile) dei partiti regionali, potrebbe rinsaldare la coalizione al governo.