Il Sole 24 Ore, 19 febbraio 2020
Campari va in Olanda
Anche Campari si prepara a diventare una NV. La Davide Campari-Milano non sarà più una spa, ma una Naamloze Vennootschap, una società di diritto olandese, con sede legale nei Paesi Bassi. Lo ha deliberato il cda del gruppo, che ieri ha anche approvato i conti 2019, chiusi con un fatturato di 1,842 miliardi e un utile netto di 308,4, e con un dividendo proposto di 0,55 euro per azione, in forte aumento (+10%) sull’anno scorso.
Il «trasloco» nei Paesi Bassi ora dovrà essere sottoposto agli azionisti, in un’assemblea fissata per il 27 marzo (per chi rifiuterà è stato fissato un diritto di recesso a 8,3 euro). La decisione è dettata da numerosi motivi ma, come sintetizza la società, va riassunta nella volontà di «valorizzare la dimensione globale del business» raggiunta dal gruppo, pur preservando l’identità e la presenza italiana (unico mercato in cui resterà quotata e dove rimarrà la sede fiscale). La NV, spiegano i vertici di Campari, permetterà, grazie anche alla contestuale introduzione di un meccanismo di voto maggiorato potenziato rispetto a quello attuale (prevede l’attribuzione di 2, 5 e 10 voti per ciascuna azione ordinaria detenuta per un periodo di 2, 5 e 10 anni), l’adozione di una «struttura più flessibile del capitale sociale», tale da permettere il mantenimento del sentiero di crescita per linee esterne (attraverso acquisizioni o alleanze strategiche che possono anche richiedere l’emissione di nuove azioni o scambi azionari) in un mercato globale degli spirit in progressivo consolidamento. Con questa scelta inoltre si intende «premiare con maggiore efficacia e incisività l’azionariato orientato a una prospettiva a lungo termine». L’operazione andrà in porto solo se la somma da pagare legata al diritto di recesso non supererà i 150 milioni; l’azionista di controllo Lagfin, che detiene il 51% del capitale e il 65,3% dei diritti di voto ha comunque già confermato il proprio supporto di lungo termine alla strategia del gruppo e il sostegno all’operazione, impegnandosi ad acquistare le azioni oggetto di recesso fino a un controvalore massimo di 76,5 milioni. Prosegue inoltre il programma di share buyback, per un importo incrementato fino a 350 milioni nei prossimi dodici mesi.
Nel frattempo il gruppo ha come detto chiuso l’anno con un utile netto di 308 milioni, in aumento del 4,1% rispetto all’anno precedente, su ricavi per 1,842 miliardi, +5,9% organico e +7,6% considerato l’effetto dei cambi e di perimetro. L’utile operativo rettificato è stato pari a 408 milioni (+6,7% organico). Il cda proporrà ai soci la distribuzione di un dividendo annuale di 0,055 euro per azione. Il debito finanziario netto si attesta a 777,4 milioni a dicembre, in diminuzione di 68,9 rispetto al 2018.
«Siamo fiduciosi circa il conseguimento di una crescita a valore dell’ebit nel 2020, guidata dalle principali combinazioni di prodotti a elevata redditività nei mercati chiave del gruppo – ha dichiarato il ceo Bob Kunze-Concewitz -. Con riferimento alla marginalità, riteniamo che il trend possa continuare a risentire dell’aumento persistente del prezzo d’acquisto dell’agave e dei dazi sulle importazioni negli Stati Uniti, primo mercato del gruppo». A livello complessivo, il ceo si è detto convinto che il gruppo potrà beneficiare delle recenti acquisizioni – l’anno scorso è stato rilevato per 60 milioni il controllo della francese Rhumantilles, che possiede il 96,5% di Bellonnie&Bourdillon e Duquesne – nonché degli sviluppi prospettati sul mercato francese, grazie all’accordo per l’acquisizione del distributore locale del portfolio Campari, il cui perfezionamento è previsto per la prima parte di quest’anno. Per quanto riguarda la scelta olandese, Kunze-Concewitz ha sottolineato che gli obiettivi saranno perseguiti «senza alcun impatto riguardo a organizzazione, gestione e operatività aziendale in Italia, mercato chiave per la crescita futura del gruppo».