Il Sole 24 Ore, 19 febbraio 2020
Il bilancio asfittico della Ue
Centesimo più centesimo meno, anche questo ventennio dovrà accontentarsi di un’Europa in soluzione 1% tutto compreso. Cioè di mille miliardi circa da spartire in 7 anni tra 27 Paesi nel quadro del nuovo bilancio pluriennale 2021-27. Dove però si aggiungeranno nuove sfide cruciali da finanziare – Green deal, digitalizzazione, intelligenza artificiale, migranti, difesa – senza poter rinunciare ai vecchi pilastri della politica agricola e di coesione.
Di questi tempi, la sostenibilità è dogma imperante nell’Unione. Ma è sostenibile l’Europa minima che si rispecchia nei suoi micro-bilanci o non rischia di vararne di inutili, perché insufficienti nei fatti ad arrestare il declino?
È saltato il vecchio ordine multilaterale di cui l’Europa è figlia. Ne sta emergendo uno nuovo, baricentro spostato dall’Atlantico al Pacifico, che nascerà dall’esito del duello in corso tra Stati Uniti e Cina per la supremazia politica, strategica, tecnologica, economica del mondo. L’Europa rischia di finire stritolata e succube, a meno che non decida e al più presto di mobilitare tutte le sue risorse, che sono ancora tante, per colmare i ritardi accumulati.
Si usava ripetere che era il Regno Unito l’origine di tutti i mali, la zeppa fatale nelle presunte ambizioni dei partner. Ora è uscito, tra l’altro sottraendo 70 miliardi alle casse comuni Ue, ma non si vede un’Europa diversa. Anzi.
Dunque, che lo facciano domani al vertice straordinario di Bruxelles o nei prossimi mesi, i suoi 27 capi di Stato e di governo alla fine licenzieranno una Finanziaria pluriannuale avvitata intorno all’1% del reddito nazionale lordo Ue, perché così vogliono i grandi contribuenti netti del Nord, Germania compresa. E perché quelli del Sud, Francia, Italia e ora anche Spagna insieme al Parlamento europeo, non sembrano avere la forza di cambiare le cose, ma solo di limitare eccessivi tagli ai propri danni.
Con due gravi conseguenze.
L’eterno copione delle nozze con i fichi secchi, l’assistenzialismo solidale dispensato con la mano sinistra sempre più corta, le rendite di posizione intoccabili, gli egoismi nazionali nei vitali investimenti nel futuro tolgono ogni credibilità, prima ancora che cominci, alla conferenza per il rilancio dell’Europa annunciata in pompa magna per i primi di maggio. Che cosa è infatti un bilancio se non il manifesto programmatico di ambizioni condivise e mutua fiducia per un comune domani migliore?
Ci sono poi due battaglie campali che in questo decennio l’Europa non può permettersi il lusso di perdere, pena l’irreversibile sudditanza economica, culturale e politico-strategica. Si chiamano intelligenza artificiale (Ia) e euro-difesa. Forse non è un caso che oggi, alla vigilia del vertice Ue sul bilancio, la Commissione presenti il suo Libro bianco sull’Ia.
Trump o no, gli Stati Uniti sono da tempo meno euro-atlantici e più anti-cinesi, nel senso che pretendono sia dall’Europa che dalla Cina un riequilibrio nei rispettivi rapporti strategici, economici e commerciali. In breve, lo scudo americano resta a patto che l’Europa faccia davvero la sua parte, con un congruo impegno industrial-militare. È finita l’epoca della difesa Nato garantita e quasi gratis.
L’intelligenza artificiale è la nuova materia prima del futuro, come il petrolio nel secolo scorso. Disporne è sinonimo di sviluppo economico libero, più efficiente e accelerato.
Oggi l’Europa accusa pesantissimi ritardi in fatto di ricerca, deposito di brevetti, numero di startup per di più sottocapitalizzate, Ai applicata (solo nel 18% delle sue grandi imprese) e digitalizzazione del mercato. È costretta a scegliere tra Stati Uniti e Cina, procurandosi così un vincolo di dipendenza che, come nel caso della tecnologia 5G, influirà non solo sui processi produttivi, ma sugli stessi sistemi di sicurezza.
Però, con il grande mercato e il serbatoio di dati di cui dispone, la riscossa europea non è impossibile. Purché ci sia la volontà e una grande mobilitazione di investimenti in innovazione e formazione. Non certo solo un risibile bilancio comune inchiodato all’1% del Rnl.
E niente illusioni nazionalistiche, per favore: non produrrebbero l’effetto di sostituzione sperato. Le grandi scommesse future passano per la competizione con colossi globali come Cina e Stati Uniti: per questo si vincono solo sfruttando a fondo la massa europea di un mercato davvero integrato, di un’Unione quasi perfetta. Senza questo bagno di realtà, tutte le scommesse rischiano di trasformarsi in monumentali cause perse.