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 2020  febbraio 18 Martedì calendario

Cibi 3D prodotti nelle serre lunari e marziane

«In Altec ci occupiamo di produrre e controllare il "bonus food": si tratta dei cibi preferiti per ciascun astronauta, verificando che ci sia un corretto mix di vitamine e carboidrati in alimenti che portano in orbita lo stesso gusto "terrestre"».
Liliana Ravagnolo è dottoressa in psicologia e lavora presso il centro spaziale della società Altec: è lì, a Torino, il cuore di controllo che seguirà, passo dopo passo, il rover della prossima missione «ExoMars 2020» su Marte, ma è anche il laboratorio che, in collaborazione con gli stessi astronauti e l’Esa, studia i menù spaziali. Che sono prodotti sofisticati, dal momento che già oggi le missioni sono di lunga durata e lo saranno ancora di più in futuro: è quindi necessario - e indispensabile - sviluppare menu estremamente vari, in grado di soddisfare sia le esigenze del gusto sia quelle della salute.
«Il nostro "bonus food" si integra con quello standard, realizzato dai centri alimentari russi e americani - spiega la studiosa, che vanta una lunga esperienza di addestramento con gli astronauti europei dell’Esa e che sarà protagonista, il 22 febbraio, di uno degli incontri organizzati dal Festival del Giornalismo Alimentare di Torino -. Gli astronauti selezionano e assaggiano i loro cibi all’incirca due anni prima della missione. A volte, poi, succede che alcuni cibi scelti non siano più graditi in orbita, dove la percezione del gusto cambia. In assenza di peso il sangue tende ad accumularsi nella parte alta del corpo e le papille gustative subiscono mini-alterazioni. Comunque il nostro "bonus food" è sempre gradito, dato che viene abbinato a cibi particolarmente gustosi, da vari tipi di pasta agli snacks e ai dolci».
Oggi sulla Stazione Spaziale Internazionale il cibo disponibile è sempre più simil-terrestre. «E’ così, anche se in realtà il top è stato raggiunto con le missioni dello shuttle - aggiunge Ravagnolo -. Dato che sulle navette era possibile caricare gli alimenti 48 ore prima del lancio succedeva che, spesso, in orbita, arrivassero frutta e verdure fresche. Oggi, invece, i cargo automatici possono essere caricati al massimo tre mesi prima del lancio: impossibile inviare cibo fresco».
E allora quale sarà, in futuro, una possibile soluzione? «Diverse agenzie spaziali - aggiunge - stanno seguendo con interesse gli studi relativi a sistemi di produzione del cibo in orbita senza scadenza attraverso la tecnologia delle stampanti 3D. Qualche passo è già stato fatto. Il nostro Luca Parmitano, infatti, ha cucinato in orbita un impasto per biscotti: quelli classici, con gocce di cioccolato. Sono stati cotti in uno speciale fornello, ma non sono stati consumati. Si trattava di un test e il prodotto non era considerato commestibile. Ma ora guardiamo al futuro...».
E, a proposito di futuro, l’alimentazione sarà un elemento-chiave anche per le missioni umane su Marte. Il cibo verrà prodotto in loco e, allora, nasce inevitabile la domanda: è verosimile che si riesca a far crescere patate e pomodori sul Pianeta Rosso? «In orbita si è già fatta crescere insalata che è stata consumata dagli astronauti - precisa Ravagnolo -. Creare vere e proprie super-serre su Marte significherà dover risolvere problemi enormi, anche per la presenza della pericolosa radiazione ionizzante. E, intanto, anche per le future basi sulla Luna i metodi che stiamo studiando oggi, con il 3D, sono considerati all’avanguardia».
Alla base di queste iniziative c’è uno studio dell’Asi in collaborazione con Enea e Thales Alenia Space: chiamato «Rebus», prevede la rigenerazione di rifiuti. Lo scopo è produrre un «compost» che si potrebbe spargere nel terreno marziano e diventerebbe fondamentale per generare colture commestibili. Un altro progetto, intanto, realizzato da Thales Alenia Space e chiamato «Eden Iss», si focalizza sulle colture idroponiche di ultima generazione: si sperimenta in uno speciale container in Antartide e - aggiunge la studiosa - «pensiamo che possa essere trasferito in orbita».
Per gli astronauti le giuste dosi di vitamine e di apporto calorico sono fondamentali. «I cibi che facciamo produrre da aziende con cui collaboriamo, oltre che con l’Esa, - aggiunge - e più in generale tutti i cibi che si portano in orbita sono ricchi di calorie. Un astronauta richiede da 2000 a 2500 calorie al giorno. Per noi sulla Terra sarebbero in eccesso, per loro è normale, perché lassù consumano molto. Quegli alimenti, inoltre, non hanno apporto di sale, perché farebbe salire la pressione sanguigna. Al suo posto, invece, si sopperisce con salse leggermente piccanti, conservate grazie alla termostabilizzazione o alla deidratazione così da eliminare eventuali batteri».
Dai cubetti liofilizzati delle missioni di Gagarin e Glenn fino ai «piatti» a bordo degli Skylab e delle Saljut, lo «space food» diventa un nuovo capitolo dell’alimentazione. Non solo per gli astronauti, ma anche per noi terrestri, che dovremo produrre alimenti in condizioni sempre più estreme.